mercoledì 30 novembre 2011

Pinocchio

Oh miei piccoli bimbi moderni, dite la verità..quanto vi annoiano le solite classiche fiabette con il nauseante buonismo che trasudano??? Tanto vero? Le vostre manine protese in segno di disprezzo e le vostre bocche storte bavose mi fanno proprio capire questo. Bene! Da oggi potete dire basta alla bontà del passato! Ecco a voi le nuove fiabe rimodernizzate per venire incontro ai gusti sempre più esigenti di voi piccoli bastardi viziati.

C'era una volta un artigiano bergamasco soprannominato Mastro Ciliegia, poiché era solito bere molto vino e picchiare a nerbate la moglie la quale, dopo aver subito le percosse, andava in giro con il viso rosso, come una ciliegia per l'appunto.
Un bel dì decise di prendere un arnese dal fallico aspetto, per soddisfare le voglie sempre più perverse della moglie che si sentiva trascurata.
Ma siccome quegli aggeggi in plastica erano molto costosi ed essendo lui un artigiano decise di fabbricarselo da solo.
Andò quindi in una discarica abusiva, ricca di liquami radioattivi, rubò tanto compensato e si mise al lavoro.
Ma dopo un po' di intarsiamenti sentì un urlo lacerante provenire dall'arnese che stava costruendo.
Spaventato e lasciato il lavoro a metà, decise di regalarlo all'amico Geppetto, chiamato così perché era essenzialmente uno stolto. Egli però era entusiasta del regalo inaspettato perché da sempre voleva costruirsi un aggeggio sessuale da vendere alle donnine sole e fare soldi facili.
Decise di costruire non solo l'aggeggio sputa-semi, ma anche tutto il corpo attorno. Come una sorta di bambola di legno, ma sessuale.
Dopo settimane di truciolamenti e di trapanate chiuso all'interno del suo capannone, il corpo prese forma e urlò nuovamente. Era vivo! Geppetto all'inizio fu molto spaventato, ma poi realizzò che questo era un vero e proprio miracolo poiché essendo animato, l'oggettino zozzo poteva essere ancor più proficuo. Scoprì inoltre, dopo una lunga conversazione, che dicendo delle bugie la bambola di legno si eccitava a tal punto che gli cresceva lo sventrapapere utile all'atto sessuale. Gioia e tripudio!
In accordo con un istituto di marketing, decise di chiamarlo Pinocchio poiché il nome era ambiguo e ambivalente: poteva essere un curioso nome da dare al pistulino (del tipo "mmmm ma che bel pinocchio hai lì in mezzo alle gambe) oppure con un astuto cambio di consonanti poteva essere usato anche dagli omini attratti da altri omini.
Una volta vestitolo, Geppetto si recò al Misex per mostrarlo a tutti i pervertiti che si recavano a quella fiera.
E fu un successone. Ottenne diversi numeri telefonici di signore sole, ma anche di tanti maschietti.
Ora non restava che portarlo nelle case di queste persone, usarlo e poi incassare.
Certo, per Pinocchio non era facile dire così tante bugie, ma alla fine riceveva tanto piacere e iniziò a prenderci gusto fino a quando, un bel giorno, si vide dinnanzi una laida vegliarda con le gambe spalancate che urlava "dimmi una bugia dimmi una bugiaaaa" e decise che basta, questo era troppo. E dopo aver rigurgitato, scappò.
Si ritrovò lungo un viale popolato da trans e qui venne accalappiato da due schifosi individui con grosse parrucche soprannominati "Gatto" e "Volpe" per il diverso colore della peluria.
Dopo averlo segregato in cantina per settimane e usato per ogni tipo di perversione facendogli dire ogni tipo di bugia possibile ed immaginabile, si stancarono e decisero di disfarsene gettandolo lungo un fosso della tangenziale, non prima di derubarlo dei pochi dinari che possedeva.
Il povero Pinocchio era in lacrime. Così tante bugie aveva detto durante questi mesi. Che si ok, lo facevano eccitare, ma veniva sempre usato per i più sordidi scopi.
Gli sembrava di essere una di quelle ragazzine teenager che andavano molto in voga in quel periodo. Troie, apparentemente felici di esserlo e sbatacchiate a destra e a manca.
Abbassò il capo per la vergogna e decise di cambiar rotta mettendo la testa a posto.
Lesse su un giornale che un nuovo politico era in città. Mangiafuoco, si chiamava (poiché del Sud e mangiava molte cose piccanti), del partito dell'Asinello.
Pinocchio si presentò, piacque per la sua faccia di legno e si fece tutta la trafila.
Divenne dapprima un simpatizzante, poi un membro e scalò rapidamente la carriera politica fino a divenir consigliere di Mangiafuoco. Tutto questo grazie alla sua facilità nel dire bugie che si sà essere la dote principale di un politico.
Purtroppo un giorno venne fotografato da alcuni paparazzi mentre aveva un'enorme erezione durante un comizio in una scuola, fu additato come pervertito e dovette lasciare l'incarico.
La vita per Pinocchio gli stava regalando solo grandi delusioni. Un freddo mercoledì pomeriggio però vide un annuncio singolare "cercasi addetto alla ferrovia locale". Si presentò ed ottenne il posto.
Meraviglia delle meraviglie, prese il posto di un passaggio a livello... e che livello se capite a cosa alludo!
Questo lavoro lo impegnava fino a sera e un giorno, mentre staccava da lavoro, incontrò un transessuale (chiamato Fata Turchina per il colore delle sue vesti) che si innamorò di lui e vissero tutti felici e contenti.

La morale è questa: le bugie hanno sì le gambe corte, ma quante gioie possono recarvi!

lunedì 28 novembre 2011

Pino il pinguino

E siam quindi giunti a ritrattar di fiabette, utili al bimbo moderno per capire il reale significato della vita e dei pericoli che essa nasconde. Siccome molti genitori imbufaliti mi hanno fatto notare che non solo le mie fiabe non conciliano il sonno dei pargoletti, ma anzi li fanno agitare in preda alle convulsioni..dico loro di far visitare i loro pargoli da un esorcista e di non rompere più i coglioni.

C'era una volta un pinguino di nome Pino.
Era un pinguino paffuto e molto simpatico. Viveva insieme ad altri amici pinguini in un igloo posto su un pezzettone di ghiaccio alla deriva. Lo condividevano pagando un esiguo affitto e si divertivano un casino.
La vita trascorreva beata e allegra tra i flutti di acqua ghiacciata e sferzate di vento gelido, giocando con l'acqua, spruzzandola vicendevolmente in faccia, zompettando con cadenza da pinguino in lungo e in largo.
Un bel giorno, a Pino balenò nella sua mente sempre attiva e dalla fervida immaginazione, la voglia di viaggiare e di esperienziare una bella avventura al di fuori del suo pack di ghiaccio.
I suoi amici-coinquilini di igloo rimasero basiti da questa sua nuova voglia. In fondo si stavano trovando bene su quel pezzo di ghiaccio. Ci si divertiva, si giocava e si pescava in allegria.
Ma Pino era irremovibile.
Specialmente dopo aver visto un documentario in tv che parlava di migrazioni e di avventure transcontinentali di uccelli.
Si mise a fare i bagagli in un battibaleno, avvolse tutte le valigine in una membrana fatta di ghiaccio e saliva e se la mise sulle spalle.
"Quack quack quack quark!" disse ai suoi amici. Che tradotto dal pinguinese voleva dire "dai non ci metterò molto... torno presto!" e volò via.
O meglio... cercò di volar via! Era un pinguino in  fondo, non un uccello!
Senza tener conto del peso dei bagagli!
Fece due svolazzate in aria e spluf! cadde in acqua. Il peso dei bagagli però lo portava sul fondo e dovette sbarazzarsene agitando le alette e i piedini palmati. Insomma, perse tutti i suoi averi.
Tornato sul pack di ghiaccio e deriso dagli amici, decise di non mollare il colpo.
Aspettò la notte e si gettò in acqua nuotando verso l'equatore.
Quel che Pino non sapeva era che più a nord (dall'Antartide) andava... più caldo faceva!
Non era abituato a simili temperature! Iniziò a sudare copiosamente e figuratevi miei piccoli lettori quanto doveva soffrir di caldo se riusciva a sudare anche in acqua!
Ma la voglia di scoprire nuovi posti gli infondeva la voglia di continuare.
Una volta toccata terra in Argentina, Pino si ritrovò a camminare lungo terreni a lui nuovi. Terra...sabbia...erba... erano per lui dolorose perché i piedazzi palmati non erano abituati.
E il caldo era opprimente. Insopportabile.
Andando verso un curioso insediamento umano, fatto di palazzi alti e cemento per terra vide il simbolo del ghiaccio su un fabbricato e decise di fiondarvisi senza pensarci su due volte.
Appena entrò...l'aria si fece subito più "pinguina" (dovrei dire più "umana" ma non è questo il caso).
E vide diverse enormi vasche di ghiaccio dai colori più vari... con dei nomi posti su delle placche di metallo. Fragola, Lampone, Cioccolato... lui decise di avvicinarsi ad una vasca con una placca vuota. Scrisse con simpatia usando la pinnetta ed un pennarello "Pino il pinguino" su di essa e si gettò a nuotare tra quello strano ghiaccio delizioso.
L'orrore lo colse all'improvviso quando venne macinato e triturato dall'enorme paletta che si abbattè improvvisamente nella vasca.
Si scoprì poi che Pino era entrato in una fabbrica di gelato e che con il suo sacrificio contribuì a creare il gusto "Pino il pinguino".
Solo nelle migliori gelaterie.

giovedì 24 novembre 2011

Vita da vitello

Essere un vitello non è facile.
Non voglio prendere in giro nessuno.
Se mai un giorno nella vostra vita vi venisse il pensiero "oh che bello, quanto vorrei essere un vitello"... no guardate. Vi sbagliate di grosso.
Non è tutto oro quel che sembra. Si certo, vita all'aria aperta, il cibo non manca, si muggisce tutti in coro..
Ma tipo ora..mi sto annoiando di brutto mentre pascolo placidamente all'alpeggio. I miei simili stanno brucando. Io ho appena vomitato e rimangiato quello che è uscito. Voglio dire... se vi sembra vita questa.
Cosa vorrei??
Mi piacerebbe correre al Parco Pineta. Per esempio. Magari ascoltando della musica sull'ipod. Ci sono parecchie hit nuove del genere muggì-pop.
Oppure andare in macchina. Oddio... è già successo ad un mio amico equino l'anno scorso e non è che sia andata benissimo la cosa. Ma io son sicuro di fare meglio!

Eccolo, adesso il pastore ci fa mettere in fila e ci fa rientrare in stalla.
Ahia!!!! Che pungolata cacchio!!!! Ma ce n'era bisogno dico io??? Entro, entro!
Che palle, adesso son qui in 1 metro quadrato di box con tanto di quel foraggio da far invidia alla fattoria di fronte. Fottuti cavalli.
Mangio...
Sono ingrassato a dismisura negli ultimi due mesi. Sarà il metabolismo bovino che accelera, ma sicuramente tutti questi chiletti non mi fanno bene. Vanno tutti sui fianchi... dovrò iscrivermi a qualche corso di pilates credo.
Ma un momento! Oh, finalmente una novità in questa cavolo di fattoria!
Il fattore fa entrare i vitelli più grassi in quella stanza. Oh che bellezza! Ci metterà a dieta??
Mah... non è che mi convinca poi più di tanto sta cosa...
Ossignur dei vachìt!




domenica 20 novembre 2011

Orgoglio e pregiudizi da benpensanti

Questa storia narra, tra le altre cose, delle gesta di una famiglia di benpensanti. Per questa lettura è pertanto consigliata la presenza di un genitore poiché potrebbe contenere azioni, atti, parole, discorsi che potrebbero ledere la vostra sensibilità fanciullesca.

Prussia, un bel po' di anni fa.

Allo scadere delle guerre volute dal Kaiser per diletto, Augustus Waccher si ritrovò nuovamente in una città pullulante di vita. Baldanzosi maschi ripopolarono le città e il Waccher si ritrovò nuovamente a che fare con altri (troppi) rivali in amore.
Augustus durante questi mesi di spensierata libertà si dilettò nella ricerca di piaceri terreni sempre nuovi e sempre più peccaminosi, copulò con diverse fanciulle e tra mille mila avventure, si divertì molto. Anche schivando diverse insidie come le "donne trasformate da uomo", una novità per quei tempi.
Dovette però desistere dalla forsennata ricerca della donna ideale con la quale instaurare un profondo rapporto carnale e spirituale poiché la sua famiglia lo richiamò all'ordine. Mentre viveva in solitudine all'interno di un bugigattolo sulle rive di un fiume, ricevette la visita di un messo recante una lettera, attorcigliata ad un piccione viaggiatore, dei suoi genitori. Augustus doveva recarsi ad una cena la sera stessa.
Non vedeva la famiglia da parecchio tempo e decise così di accettare l'invito.
La vista della sua dimora gli scaldò il cuore... ah, il suo letto caldo... le sue trapuntine di organza!
Ma la cena, come spesso accade nelle famiglie dei benpensanti, si rivelò essere un'astuta trappola per farlo tornare sulla retta via. E il tutto dinnanzi ad una buona zuppa calda d'orzo, pietanza molto in voga tra le famiglie bene dell'alta aristocrazia prussiana.
"Augustus, mi passi un po' di quella deliziosa salsa?" disse il padre. "E quando la smetterai di fare il degenerato?" aggiunse subito dopo aver ricevuto la scodellina.
"Giammai padre! La mia via è la copulazione e nessuno mai riuscirà ad impedirmelo!" urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo il giovine rampollo. "E sappi che troverò anche la donna ideale con la quale instaurare del sano rapporto carnal-spiritual".
"Diamine donna... hai partorito un essere alquanto spregevole" disse il padre furente rivolto alla madre, la quale in risposta sbattè a terra il tovagliolo in segno di disprezzo.
"Ma non lo vedi, Augustus, che le donne son ora tutte attorniate da baldi giovinotti veterani di guerre eroiche, mentre tu sei un omuncolo giallognolo in volto e senza speranza alcuna di incutere in una fanciulla quel buon senso orgasmico che solo un esperto uomo d'armi potrebbe donar loro???" disse la madre con un arguto giro di parole.
"Mah, sarà..." disse Augustus ben pensando di tener celato il suo "grosso" segreto riposto con cura nelle braghe del "di sotto". (ricordo infatti che il buon Augustus aveva un gran dono nelle zone umide e tropicali e le donzelle ne erano sempre alquanto attratte).
In preda ad una crescente rabbia, Augustus decise di terminare quella cena esternando un rumor di corpo viscerale in segno di stizza e scappando fuor di casa in un battibaleno.
"Che villano! Che mascalzone!" dissero in coro madre & padre portandosi con rispettosa vergogna il tovagliolo dinnanzi alla bocca.
"Rodolfo, libera i cani!" urlò dopo poco il padre con tono perentorio, rivolgendosi al maggiordomo.
E fu così che Augustus superò diversi record di velocità e di salto agli ostacoli fuggendo dalla sua casa e rifugiandosi nel bugigattolo in riva al fiume, che nel frattempo era stato utilizzato da dei senza dimora per crearvi un piccolo circo delle pulci.
Non vi tengo nascosto il disgusto di Augustus nel dover ripulir tutta la sporcizia presente, ma in fin dei conti era libero ora.
Il rientro negli agi fu un errore imperdonabile per lui che, rampollo ormai decaduto, voleva solo una cosa: la libertà. Quindi decise di festeggiar la ritrovata speme con una caccia alla donzella come ai vecchi tempi. Si mise quindi alla ricerca di gentil sesso in ogni dove, dalle locande ai negozi di brugole, ma con orrore scoprì che tutte erano ormai state accalappiate dai reduci di guerra. Il suo spirito crollò tutto d'un pezzo e decise di poggiarsi sul muro di una chiesa con un gruppo di musicanti un po' strani. Indossavano delle gabbie per uccelli in testa e danzavano con strani passi e strani versi. Ad Augustus sembrava un luogo già visto. Alzò gli occhi e vide un Gesù in sasso con delle mani poste in avanti in segno di discolpa.
Un senso di deja-vu lo colse. E lo lasciò sgomento per un bel po' di ore. Quando si riprese, vide davanti a lui una ragazza alquanto bizzarra. Gli occhi erano celesti come il cielo d'inverno e i capelli paglierini come la paglia in un fienile senza mucche. E gli sorrise. Il suo cuore palpitò e riprese a sentir crescere in lui la speme di aver trovato una ragazza piacente e forse libera. Si fece sotto con un ardore senza eguali e disse a lei "Dolce fanciulla dai capelli color fieno e dagli occhi come il cielo... sei stupenda, la ragazza della mia vita! Io voglio te per sempre per un futuro insieme! Ti prego o dolce e baldanzosa fanciulla... amami!" la dolce fanciulla sorrise ancora di più e stava per proferir parola quando Augustus si lasciò andare ad un vecchio vizietto dei tempi andati, ossia il dire cose fuori luogo al momento inopportuno. E disse "osserva di giù il mio enorme dono come reclama il tuo corpo!". Un rumore secco e sordo scosse il centro città. Augustus venne ritrovato esanime per terra con il segno di una mano ben visibile e ben calcato sul suo volto.
"Perdinci, codesto non è un dono!!!! E' una maledizione!" urlò in faccia al suo soccorritore, un simpatico omino canuto con vesti multicolori che per svegliarlo praticò al buon Waccher una respirazione bocca bocca d'altri tempi. "Caro, non aver timore... ci sono qui io. Il tuo non è una maledizione, non dirlo mai più schiocchino""Vieni, vieni a casa mia, che ti curo questo malanno". Disse con voce stranamente suadente.
"Codesto omino è davvero gentile. Che bontà di spirito! Cià, andiamo a farci medicare nella sua dimora". Pensò stoltamente Augustus.
Quello che non sapeva era che una nuova moda era nata nella civiltà Prussiana dell'epoca. E tutto per colpa della guerra e della fratellanza morbosa tra uomini durante il conflitto.
L'orrore si dipinse sul suo volto quando realizzò.
Ma fu troppo tardi.

mercoledì 16 novembre 2011

Erik

BUM. Un forte boato.
Erik si veglia di soprassalto. Guarda immediatamente fuori dalla piccola finestrella aperta, che tutte le notti funge da piccolo schermo per osservare le stelle e perdersi nei pochi ricordi che gli rimangono della sua famiglia. Della sua infanzia.
Un’esplosione, laggiù … al confine sud del villaggio.
Poche ore prima non credeva che i ribelli avessero le palle per avvicinarsi così tanto durante la notte, ma ora è successo.
Si alza scattando come una molla, è già vestito, tutti sono già vestiti per eventualità come questa. Afferra l’AK47 che è ai piedi del letto e si dirige verso la piazza antistante la baracca, dove dorme tutte le notti da un anno a questa parte insieme ad altri nove bambini soldato come lui.
Una volta al centro della piccola piazza in terra battuta osserva come dalle altre tre baracche del villaggio altrettanti bambini imbraccianti fucili automatici si dirigono verso il posto dove ora si trovano lui e i suoi fratelli di armi.
Dalla piccola casetta a nordovest escono tre uomini, sono il Generale Ahbed e le sue due guardie del corpo. Lo sguardo terribile dietro gli occhiali da sole, che sembra avere incollati anche di notte sul suo marmoreo viso, emanano una collera senza eguali. Erik non ricorda di averlo mai visto così furente. Come un mastino al quale si tira un calcio in pieno stomaco.
“Cosa cazzo sta succedendo?” urla puntando un dito rabbioso verso il gruppo di piccoli soldati.
“Un’esplosione alla porta sud del villaggio” risponde con autorità uno dei ragazzi al quale il generale ha affidato la ricognizione notturna.
Erik si trova da poco in quella merda, ma ha trovato il tempo e il modo per fraternizzare con tutti gli altri bambini che, come lui, sono stati strappati dalle loro terre e dalle loro famiglie per unirsi all’esercito regolare.
Il Generale abbassa la mano, apre con estrema lentezza la fondina che porta attaccata alla coscia, estrae la pistola 9 mm che porta sempre con sé e la punta alla fronte del bambino.
“Primo. Chiamami Signor Generale alla fine di ogni risposta.”
Clic, abbassa il cane dell’arma.
“Secondo. Hai fallito il tuo compito. Dovevi sorvegliare e dovevi vedere, cazzo, che stava succedendo qualcosa.”
Schiaccia il grilletto.
Un colpo secco.
La testa del piccolo soldato che vola in mille pezzi.
Erik si ritrova della materia cerebrale sulla spalla destra, ma ha troppa paura per fare qualsiasi gesto e decide di tenerla lì dov’è.
Il piccolo soldato si chiamava Jules. Era lì da tre anni. Due in più di Erik. Giocavano sempre insieme durante le pause dalla routine quotidiana con una palla fatta di stracci. Era bravo Jules. Raccontava belle storie. Erik ricorda in quegli stessi istanti, mentre il cervello del suo amico si trova sulla sua spalla, di come Jules facesse ridere tutti quanti la sera, prima di addormentarsi.
 Addio Jules.
“Che questo sia di monito a tutti quanti voi. Chiaro? Un’altra cazzata come questa e ne faccio fuori 10 di scarafaggi come voi. Avete capito brutti stronzi?”
“Sissignore!” è il coro che esce spontaneo, senza pensarci due volte, dalle gole arse del manipolo di bambini impauriti. 
“E ora seguite Karim, stategli attaccato al culo e vate quello che vi ordina” urla il generale rimettendo la pistola ancora fumante nella fondina.
Erik e gli altri si dirigono frettolosamente verso Karim, una delle guardie del corpo del Generale. E’ un uomo alto e robusto con una lunga e profonda cicatrice sul volto. Non ci mette troppo  a sbraitare ordini ai piccoli soldati.
“Tre di voi si mettano al riparo dietro a quella buca, due di voi mi stiano attaccati al culo e il resto di voi prenda posizione lungo il perimetro. Fate fuoco solo a bersaglio sicuro. Non sprecate munizioni.”
Il manipolo di bambini corre a mettersi nelle posizioni solite degli addestramenti, tolgono la sicura quasi all’unisono e rimangono fermi, immobili. Aspettando che il nemico da sempre temuto si faccia vivo.
Erik suda, stringe talmente forte il pesante fucile che le nocche iniziano a dolere. Il cuore accelera, la paura inizia a salire.
Solo pochi mesi prima si ritrovava ad aiutare la nonna nelle faccende di casa. Era la sua unica famiglia. Lui, figlio di operai della vicina raffineria di petrolio. Rimasto orfano troppo presto per colpa della guerriglia che da anni infiamma il cuore della Somalia.
Ad un tratto, mentre il piccolo  Erik è ancora assorto nei nostalgici pensieri della sua infanzia, il nemico appare. Ombre scure nella notte. Una raffica di mitra. Poi un’altra. Un’altra ancora. E poi iniziano a piovere granate.
I colpi sono spaventosamente forti. Ma fortunatamente sono cadute distanti dalla loro postazioni. Si alzano nuvole di terra e polvere. I nemici iniziano ad apparire dietro gli alberi della foresta che circondano il villaggio. 
Altri spari. Questa volta più vicini.
Erik sente una puntura nello stomaco. 
Improvvisa. Non troppo dolorosa.
Si porta le mani dove sente dolore e sollevandole i suoi occhi si fanno enormi. Sangue. 
Tanto sangue. 
Ora il dolore si fa più forte. Lancia un urlo. 
Freddo.
Forse chiudendo gli occhi tutto passa.
Come in un sogno. Un incubo.
Erik non si accorge di morire.
E poi, il buio.



domenica 13 novembre 2011

100

Percorrere una strada liscia, priva di ostacoli è la più grande noia che potrebbe capitarmi.
Quando inforco la mia mountain bike, preferisco sempre scegliere percorsi accidentati, duri, difficili.
Perché? Perché sono scemo? Naaaa... anche, ma... naaaa non è questo il vero motivo.
Perché mi fanno apprezzare di più quello che faccio e quello che scelgo di fare.
Una strada piana non ti regala niente.
Uno sterrato, la polvere, le cadute, le risalite... quello è vivere cazzo!
Amo tornare pieno di lividi, sporco, infangato... ma vivo. E più forte di prima.
Quello che mi fa rialzare tutte le volte è la speranza e la convinzione di quello che voglio e quello che faccio.
Non potrei mai sopportare una vita tranquilla.
Vi giuro.
Quindi vi prego, riempitemela di difficoltà.
Voglio sudare ogni singola cosa che faccio.
Averla piena di sassi, di fango, di cadute... la voglio bramare. La voglio assaporare.
Solo quando si è in difficoltà si riesce a capire quello che si vuole realmente.
E cazzo se è vero.

Keep rocking' folks

p.s. è il mio post numero 100 in questo scalcinato e inutile blog. Un passo. Ce ne saranno molti altri.

Barbagianni e piccoli idioti

Era una fredda serata autunnale e il barbagianni Gianni (sua madre non ha mai brillato di grande fantasia) si apprestava ad uscire per il suo solito ingrato lavoro. Ossia non fare nulla per tutta la notte.
Molti sopravvalutano infatti l'utilità di questi rapaci notturni, in realtà il loro scopo è servito più a scrittori di dubbia fama e a poeti maledetti che ad altro.
Insomma, Gianni si stava preparando per uscire. Indossò il suo blazer blu (tirava un venticello!), prese la valigetta di cartone rigorosamente vuota, addentò un panino col tonno e finalmente uscì dall'albero cavo dove aveva nidificato, non prima di aver chiuso a doppia mandata il solido portone in paglia con le sue zampette artigliate.
Tutto sembrava tranquillo, come al solito. Gianni si appostò su un albero poco distante, ripose con calma barbagiannesca il blazer nella valigetta vuota e si mise lì fermo, nella sua classica posa da barbagianni.
Ad un certo punto scorse in lontananza un paio di occhi infuocati che si avvicinavano.
Guuuuf guuuuuf, iniziò a gufare. Sia facendo scongiuri, sia facendo il verso. Ma niente, gli occhi si avvicinavano sempre di più.
Ed ecco che da un cespuglio balzò fuori un bimbo con un simpatico cappellino con su due occhi giganti rossi roteanti.
"Sto camminando! Ye ye! Sto camminando! Ye ye!" urlacchiava spensierato.
Era il piccolo Alfonsino, rampollo di una nobile casata che dimorava nei paraggi.
Il piccolo non ha mai brillato per intelligenza e infatti anche quella sera ne dava ampia dimostrazione.
In lontananza delle torce si accesero e si sentirono delle voci che risuonavano nel bosco.
I suoi genitori lo stavano chiamando. Ma Alfonsino fece orecchie da mercante e decise di giocare un buffo scherzetto ai suoi anziani genitori. Si infilò in un pertugino tra un albero e un enorme masso e decise di aspettare i suoi vecchi per poi saltar fuori e farli spaventare.
Ma quello che Alfonsino non sapeva... è che il pertugino era abitato da un topo mannaro, ma essendo molto piccolo non ebbe di che preoccuparsi. Infatti appena il topo si trasformò in un topo muschiato ancor più ripugnante, il bimbo lo prese urlando "uuuh topino, topino!" e trec... gli tirò il collo.
Insomma, ve l'ho detto... non brillava di acume.
I suoi genitori intanto si fecero sempre più vicini e le voci sempre più preoccupate. Quando i due vecchietti si avvicinarono al rifugio, Alfonsino sbucò fuori urlando "REFERENDUM!!!!" brandendo il cadavere del topo mannaro a moh di trofeo.
Bam. Bam. Due forti tonfi si udirono nella notte. I due genitori crollarono lì a terra. Stecchiti. E il piccolo Alfonsino li guardava con occhi spiritati. "Pa, ma??? Ma non vedete cosa ho qui??? ho catturato una preda! Pa! Ma! Topino!!!" Non accorgendosi di aver fatto morire di spavento i due vecchi genitori.
"Vabbè... dormite pure va... io torno a casa" disse il piccolo imbecille.
Alfonsino non capì mai cosa successe ai suoi genitori. E non capì come mai il giorno seguente venne messo in un orfanotrofio per ricchi scemi. Seppe solo una cosa... che da quella sera, ogni qualvolta si trovava da solo, udiva strane voci provenire da lontano: "cretino....cretino....cretino" gli pareva di sentire. E curiosamente, quelle voci sembravano appartenere ai suoi defunti genitori. "Bah sarà il vento" soleva ripetersi.
E il barbagianni???? Chiederete voi, o attenti lettori. Beh, Gianni, che nel frattempo aveva osservato tutto, decise di trasferirsi in un posto più tranquillo. Quindi riprese il blazer dalla valigia di cartone. E svolazzò via.
Ah che gente questi umani. Pensò.

martedì 8 novembre 2011

E' una sporca faccenda Detective Stone

Là dove il cemento regna indisturbato. Là dove il cielo ormai è di un colore indefinito tra il grigio topo e il nero di seppia. Là dove i mascalzoni regnano indisturbati. Insomma là, vive il Detective Stone il più duro detective della Omicidi di L.A.

La chiamavano "Città degli Angeli". Los Angeles. Ma di santo e puro c'era ben poco.
La criminalità era schizzata alle stelle e pure l'onanismo non se la cavava affatto male.
Sì perché erano tempi difficili quelli. Tempi in cui le donne ormai si erano emancipate, si erano fatte furbe e dure. Non era più semplice conquistarle. Erano ormai tutte da una botta e via. Sgualdrine? Forse.
I massmediologi (che dopo l'avvento in terra di san Klaus Davi avevano assunto un'importanza pari alla fusione a freddo) davano la colpa proprio ai media, con stili di vita discutibili e via discorrendo. Certo, la stramba moda nata in tv di cibarsi di fenicotteri rosa non aiutò molto in questo senso. Ma così va la vita.
Insomma, le donne erano difficili da conquistare. Lo era prima, figuriamoci in quei tempacci infami.
Il Detective Stone si svegliò come sempre con questa angoscia in petto. Donne. Donne. Non effettuava un atto erotico con una femmina da qualche anno ormai. E si dedicava alla tremenda pratica dell'onanismo almeno due, tre volte al giorno. Per scaricare i nervi, diceva tra se e se quasi a giustificarsi. L'onanismo, o arte della falegnameria, era un atto bandito dalla società umana nell'anno 2014 quando la Kiesa assunse un potere temporale pazzesco. Tutto nato da una partecipazione del papa Joseffus al Grande Fratello. Si disse per aiutare una chiesa in difficoltà, con pochi adepti. Da quel momento il papa divenne un mito osannato dai più piccoli che, per ricalcare le sue orme, si iscrissero in massa ai seminari per diventar prete e bum! Tra l'altro cambiarono nome in "Kiesa" perché faceva più figo e giovine. Quindi vi lascio immaginare cosa successe... boom di nascite per il bando dell'aborto. Malattie veneree in ogni dove per il bando dei preservativi... insomma, un gran brutto affare.
Il Detective Stone, ultimati i suoi doveri fisiologici ed effettuata una sostanziosa colazione si diresse alla centrale. Il "Checazzocollezioni Killer" era ancora là fuori.
Il capo con la finezza che lo contraddistingue apostrofò Stone con un "vecchia merdaccia" appena entrato. Dopo un breve briefing, arrivò una telefonata. L'ennesima sull'ennesimo omicidio.
"Suino d'un porco!" esclamò Stone con tutta la rabbia che aveva in corpo. Sbattè il pugno contro la scrivania, ma venne subito cazziato dal capo perché quella era una scrivania duemilesca regalatagli dalla moglie defunta. "Mi scusi, mi scusi" disse.
Il Killer questa volta colpì nel quartiere ricco della città.
Tutto era lastricato d'oro. Dalle strade (da qui l'alto tasso di mortalità per incidenti dovuti al fondo scivoloso) ai fili d'erba. Tutto era d'oro. Stone scese dalla sua bicicletta (amava tenersi in allenamento) solo dopo essere ruzzolato per 200 metri orrendamente come un deficiente. "Dannate strade, ma sono sulle tracce giuste" disse per poi correggersi poco dopo poiché stava seguendo le proprie tracce. Era ancora un po' scombussolato dalla caduta.
Il detective entrò nel palazzo lussuoso che ospitava i più grandi ricchi e perciò cafoni abitanti della città.
"Pvego si accomodi ispettove!" disse l'usciere con un impercettibile difetto di pronunzia.
"Beh, sarei detective, ma non importa" "Bazzocole, covbellevie! E' sempve un uomo devoto alla giustizia lei" disse l'usciere con un sorriso quasi beffardo. Al detective sembrò fosse una presa per il culo, ma decise di non star lì a begarla su.
Due agenti lo attendevano agli ascensori del palazzo e lo scortarono nella camera del "povero" (ma solo perché defunto, in realtà era ricco come la merda) Reginaldo DeRicchis. La polizia e persino lui, il miglior detective della LAPD brancolavano nel buio. olo dopo 2 ore buone Stone trovò l'interruttore e accese la luce. La stanza era in perfetto ordine. Suppellettili da ricchi, quali mappamondi in avorio, tele di enorme valore, tappeti persiani made in persia e non made in china, una collezione di monocoli e bombette. Insomma, la classica casa di un ricco. E nessun segno d'effrazione. Nessuna prova.
Maledizione, come tutti gli altri delitti del Checazzocollezioni Killer. Che ancora una volta si dimostrava imprendibile e imprevedibile siccome colpiva donne, vecchi, uomini, poveri, ricchi...
La vittima era posta sul divanetto in pelle di leopardo (proprio roba da ricchi) e non c'era nulla fuori posto. Neanche una goccia di sangue. Ma quindi... com'è morto codesto pover riccuomo? 
Dannazione, è una gran bella gatta da pelare, disse Stone afferrando la gatta della vittima e iniziando a spiluccarla pian piano con una pinzetta trovata sul letto.
"Un moment!!!" urlò all'improvviso e subito accorse un agente con una pastiglia di analgesico e un bicchiere d'acqua. "Ehm, no grazie era "un momento" ma troppa è l'agitazione in me e ho troncato sul finire la frase!!!" A questo povero riccuomo manca il lobo di un orecchio!!!! Santiddio il lobo!!!!! E' morto per asportazione di un lobo!!!! 
E là fuori, mentre osservava con un binocolo potentissimo, un pellicano dalle piume ambrate osservava con ghigno beffardo la scena. 
Squek squek squek sogghignò.

mercoledì 2 novembre 2011

Il goffo Camillo

La sapete quella del goffo Camillo?

Camillo era un bambino decisamente cretino e molto molto grasso. Era il bimbo più grasso del paese di Manzanazzo. Ma viveva questa sua condizione in assoluta disarmonia con il prossimo sebbene, solitamente, i bimbi grassi siano divertenti da osservare.
Egli infatti non poteva avere amici, perché intimoriti dalla sua stazza e dalla sua secrezione sudorifera intensa che provocava attimi di panico e rigurgito appena altri bimbi si avvicinavano a lui che, imbarazzato, secerneva liquidi in quantità industriale.
Un bel giorno, il buon Camillo (che come tutti i bimbi grassi in modo assurdo era anche un bonaccione) si stava recando a scuola tutto contento per esser riuscito ad eseguire correttamente tutti i compiti di matematica, materia a lui ostica ma che quella volta, complice anche un intero barattolo di Nutella, era riuscito a portare a termine. La strada che percorreva ogni mattina per andare a scuola era piccola e angusta. Lui, con il suo flaccido corpicione, strisciava lungo le pareti, occupando tutta la carreggiata e travolgendo gli incauti passanti che si ritrovavano lor malgrado sul suo cammino.
Molte volte dovettero cavarli fuori dalle sue molli membra con enormi cucchiai e, se ancora in vita, portarli in ospedale con principi di soffocamento.
Quella mattina, Camillo era un po' in ritardo a causa di un inconveniente tecnico post-colazione (che non sto qui a descrivervi perché è un aneddoto molto poco piacevole e decisamente poco adatto per i miei lettori più sensibili) e si ritrovò a galoppare a velocità sostenuta verso l'edificio scolastico, ma ad un certo punto i suoi occhi si riempirono di terrore. Le sbarre del passaggio a livello stavano scendendo inesorabili e questo voleva dire una e una sola cosa: entrare in ritardo! Si butto quindi a pelle di leone cercando di imitare le star della tivù,ma che per sua sfortuna erano muscolose ed atletiche mentre lui era solo un ammasso informe di lardo. Rimbalzò quindi per terra in malo modo facendo un rumore inquietante come quando sbattete un panno bagnato per terra: SCIAFF. E scivolò orrendamente sull'asfalto emettendo un urlacchio.
Il povero Camillo si ritrovò così incastrato tra le sbarre del passaggio a livello! Arrivarono di corsa un sacco di persone: vigili, pompieri, poliziotti, panettieri, macellai (che l'avevano scambiato per una porchetta) e persino dei preti che lo esorcizzarono. Per sua fortuna il treno, come spesso accade, era in ritardo. Ma Camillo non ne voleva sapere di disincastrarsi. Dentro di lui crebbe la paura e dopo un attimo di esitazione...si defecò completamente indosso, sebbene avesse dato di corpo prima di partire (ecco l'ho detto). I liquami fuoriuscirono dalle sue brachette variopinte a litrate e crearono una sorta di buffo laghetto marrone tutto intorno a lui. Fortuna volle che questi liquami fecero contatto con alcuni cavetti elettrici posti accanto ai binari e.. meraviglia delle meraviglie, partì un blackout misericordioso che fermò tutti i treni e fece rialzare le sbarre.
"Tutto è bene quel che finisce bene?" Chiederete voi, o miei fedeli lettori incuriositi. No. Non finì bene, perché centinaia di pendolari inferociti raggiunsero Camillo, che ancora stordito per l'accaduto, si ritrovò circondato di gente che brandiva mazze, cocci di bottiglia e ventiquattrore (insomma i classici pendolari).
Ma se in questi giorni vi dovesse capitare di passar per Manzanazzo, chiedete dove potete osservare il dirigibile che trasporta i pendolari ogni mattina da ormai 2 anni. Non rimarrete delusi.

Subito dopo aver scritto questa storia, sono stato contattato dall' ANBGO (Associazione Nazionale Bimbi Grassi e Obesi) che si è fatta portavoce dei diritti dei bimbi grassi a non essere discriminati. E' arrivato un fax con allegato questa foto di un bimbo che vuole pestarmi. Perdono. Ho paura.