mercoledì 21 dicembre 2011

Another Christmas Carol

Oh, miei piccoli lettori. E' infine giunto il Santo Natale, ricco di doni. E basta. Eh si, cosa volete? Carità? Buon cuore? Fioretti? Opere di bene? Ma vaffanculo va! REGALI. E' questo e solo questo che volete o piccole iene saprofaghe. Quindi, come un novello babbo natale markettaro in una nota multinazionale delle bibite, mi accingo a decantar la classica fiaba natalizia. Una piccola strenna per voi tutti.


E' la sera della vigilia di Natale nel piccolo paese di Bobbolozzo. Si dice sia il momento più magico dell'anno. Lo sarà per molti, certo, ma non per il piccolo Riccardino. Un orfanello storpio e guercio che, seduto sui gradini della chiesa, sta raccogliendo oboli dalle persone di buon cuore che si sa, sotto natale abbondano. Sarà per mascherare il loro putrido cuore nero... sarà per farsi belli agli occhi degli altri... sarà semplicemente per stare in pace con loro stessi. Ma a Riccardino ciò non importa. Ha una scodellina bella colma di euri.
Il freddo è pungente e la sua canottierina insozzata non lo protegge poi così tanto. Decide così di tornare a casa, dalla sua povera famigliuola. Essi vivono sotto il ponte principale di Bobbolozzo, insieme a un'allegra combriccola di ratti.
Quella sera però, il piccolo Riccardino reca nei cuori dei suoi famigliari (da pezzenti certo, ma pur sempre cuori) tanta gioia portando tante monetine e persino due bottoni.
"Caspita! Anche due bottoni!" Esclama la mamma Gesualda con un sorriso luminoso, nonostante i denti cariati.
"E' stata una bella serata genitori!" dice con voce colma di gioia il piccolo Riccardino.
Il burbero padre Mario però non proferisce parola. E' sempre stato un uomo orgoglioso ed esultare per la miseria non gli pareva proprio il caso.
"Smbuff" bofonchia soltanto.
Riccardino intanto, si mette a giocare con i fratellini più piccoli, i quali non hanno un vero e proprio nome ma numeri: 1,2 e 3. Nel rigoroso ordine di espulsione dall'utero materno. Lui era il più fortunato poiché al momento della sua fuoriuscita la madre aveva ancora molta fantasia.
Ma torniamo a noi e alla famiglia di disperati.
Tutto sembra andare un po' meglio del solito. Gesualda cucina nel barile infuocato un paio di deliziosi scoiattoli e il brodo di topo sembra venir su bene.
Ad un certo punto, una famiglia di abbienti benpensanti fa capolino dall'alto della strada.
"Oh cielo, moglie. Osserva lì in fondo. Una famiglia di sfortunati." dice il padre statuario avvolto nel mantello da ricco.
"Buon cielo caro!" dice di rimando la bella moglie di vison impellicciata. "Che cosa dici? Sarà forse meglio tener testa alla tradizione natalizia che vede le belle persone come noi prendersi cura degli straccioni?"
"si si madre! facciamolo! Natale! Natale!" esclama con un odioso vocìo il figlioletto paffuto della coppia.
"Voi di laggiù!" "Di grazia!" esclamano in coro gli abbienti personaggi.
"Si?" "dice Gesualda con voce rotta dal timore.
"Vorreste aver la compiacenza di seguirci sino alla nostra dimora, per farvi offrire un lauto banchetto costituito da diverse prelibate portate?"
"oh diamine si! Va bene! Accettiamo" urlano in coro tutti quanti, tranne Mario che sentitosi punto nell'orgoglio decide di rimanere a guardia delle loro povere cose. "Andate voi, io rimango qui" biascica con fermezza.
Gesualda spegne il fuoco del pentolone e mette il tutto in una scatola trovata lì tempo fa, il cibo non si butta mai. E insieme ai figlioletti si unisce alla famiglia benestante.
"Perbacco che fetore..." bisbiglia il marito alle orecchie orecchinate della moglie.
"E osserva il figlio più grandicello... è un derelitto. Zoppo, mezzo cieco... corbezzoli che colpo che abbiamo fatto. Ci frutterà come minimo la platinum card del paradiso."dice sfregandosi le mani.
Una volta giunti alla dimora, Gesualda, Riccardino, 1, 2 e 3 spalancano la bocca per la magnificenza dell'enorme casa e per il tepore che emana.
"Accomodatevi, vi prego. Ponete le vostre terga su questi appositi strofinacci posti sul divano. Così non macchiate"dice la ricca moglie.
Riccardino, zoppicando, inizia ad esplorar la casa insieme al paffuto figlioletto della coppia benestante.
"Sai, io ho tutto! Ho tutti i balocchi di questo mondo!" dice con tono fiero ed odioso nel contempo.
"Eh si, lo vedo! O meglio...intravedo...sai, la cataratta" dice Riccardino con un groppo in gola. Il figlioletto ha davvero tutto quello che potrebbe desiderare un bimbo. Persino un'intera città in miniatura da distruggere a piacimento con dei robottoni giganti.
"Eh, io non ho nulla. Ho solo delle pulci da passeggio e null'altro." dice sconfortato Riccardino. "Ma riesci a fare così?" e si mette le gambe matte in un'innaturale posizione a 90 gradi dietro la schiena.
"Pfff, certo. Io posso tutto" dice con tronfia certezza il ciccione che appena prova a imitare il suo coetaneo sfortunato si ritrova incastrato con la testa sotto le grasse gambone. "Oddio! Son incastrato! Aiuto!" urla disperato.
Una risata sorge spontanea in Riccardino, che cerca di aiutare il ciccione a sbrogliarsi, ma inutilmente.
Intanto, Gesualda e gli altri tre bambini son seduti in sala, con di fronte la coppia agiata.
Iniziano ad intavolare una discussione, ma avendo pochi argomenti in comune la cosa non decolla e ben presto si arenano in un imbarazzante silenzio. La ricca donna cerca così di accelerare la cena dando ordini sempre più altisonanti agli sguatteri in cucina. E Gesualda inizia a pensare con tristezza al povero Mario, solo, la notte di Natale.
Ad un certo punto, mentre i servi iniziano a portare le portate in tavola, si ode un urlo pazzesco provenire dalle scale e un tonfo sordo. Il paffuto bambino sta ruzzolando dalle scale, cercando di correre dai propri genitori, ma il ruzzolamento lo porta dritto dritto sul flambé portato da un servo proprio sotto la scalinata.
Non vi dico il panico e il terrore che presto serpeggia sui volti di tutti. Fuoco ovunque.
"Nooooo, i costosi arazzi! I tappeti provenienti dalla lontana Persia! Gli stucchi di Gozzavignolino!" urla la ricca donna in preda all'isteria.
I servi provano a spegnere l'enorme fuoco scaturito dalla caduta del grasso bimbo, ma niente da fare. L'intera dimora è in fiamme.
Il marito prova ad avvicinarsi alle stanze, per portar fuori qualcosa, ma il calore è troppo forte. "Corbezzoli! Tuoni e fulmini! Cosa succede! Siamo perduti! Le nostre ricchezze!!! Dove dormiremo? Dove poggeremo le nostre ricche natiche?"
Ma ecco che Gesualda e i figlioletti, si fanno loro vicini e offrono una sistemazione momentanea alla ricca famigliola, ormai non più tale. I due controvoglia accettano e, portando con loro il bimbo paffuto ormai deturpato nel fisico in una curiosa conformazione ovoidale, si recano sotto al ponte.
Mario, vedendoli arrivare, inizia a sorridere. "Bene, bene. Ho visto il fuoco fin da quaggiù. Accomodatevi"
Riccardino, cercando di consolare il coetaneo, inizia a palleggiarlo con grazia e lo pone accanto ai genitori.
E mentre tutti insieme sono attorno al barile infuocato in cerca di tepore, una lunga fila di ratti addomesticati inizia a portar sulle loro schienine le portate della cena di Natale. E una lacrima, scende lentamente sulla guancia della ricca donna, mentre dal cielo iniziano a scendere dei fiocchi di neve.

giovedì 15 dicembre 2011

Il mansueto koala

C'era una volta, in una foresta del continente australe, un koala molto tranquillo di nome Pirulino.
Era un koala diligente e serio. Molto intelligente e decisamente più brillante di tutti gli altri koala della regione. Frequentava l'università aborigena, iscritto al corso di "arrampicamento comparato". Studiava notte e giorno. E si cibava saltuariamente di eucalipto, del quale andava ghiotto.
Un giorno, la sua routine koalosa fu scombussolata da una notizia a dir poco sconvolgente, proveniente dalla lontana Europa. Lo zio Proraso era ricoverato in terapia intensiva allo zoo di Vienna dopo aver ingurgitato troppo eucalipto, del quale anche lui (ironia della sorte) andava ghiotto.
Pirulino si lasciò trasportare dallo sconforto. Infondo, lo zio Proraso gli era molto caro poiché gli spediva sempre per Natale delle foglioline balsamiche per odorare la sua cameretta fatta di bambù.
Decise di andarlo a trovare, abbandonando momentaneamente gli studi. Certo, gli mancava solo un esame alla tanto sospirata laurea, ma in fondo... aveva anche voglia di staccare un po'.
Dopo aver interpellato e chiesto i fondi per il viaggio ai suoi anziani genitori, che si trovavano a lavorare nelle terribili miniere di eucalipto (ironia della sorte e fatto alquanto bizzarro poiché l'eucalipto non è un minerale), Pirulino partì.
Purtroppo al bancone della Lufthansa non accettarono il pagamento fatto in sassi da parte del giovane koala, il quale si mise a piangere disperato dinnanzi a tutti gli addetti e i passeggeri.
Ma veder piangere un koala... vi assicuro o piccoli lettori... è uno spettacolo struggente. Quindi una hostess di buon cuore e di quarta di reggiseno, lo strinse forte al petto e decise di fare uno strappo alla regola e imbarcarlo come bagaglio a mano in pelle di koala. Una volta in volo, Pirulino si mise a giocare un po' con l'iphone, guardò 7 film, ma senza capirci un granché e dopo 20 ore di volo e scali vari arrivò a Vienna.
Il freschino invernale lo colpì bastardamente allo stomaco. In volo ebbe l'incauta idea di farsi ogni pasto e chiedere il bis e ora... il freddo pungente viennese lo fece rimpiangere amaramente di non essersi portato il golfino in pelle di scimmia cucito dalla mamma. Dopo aver espletato una forte e squassante diarrea post volo e post congestione decise di dirigersi allo zoo per trovare lo zio malato.
Tra lo stupore dei visitatori, il koala fece il suo ingresso nell'ampio recinto del parco faunistico.
Ma, sorpresa delle sorprese, venne scambiato per un fuggitivo e fu subito catturato, sedato e rinchiuso in gabbia con altri suoi simili. "No aspett...! Ci dev'essere un err...!" Cercò di esclamare in preda all'ansia. Ma niente da fare... Pirulino si trovò imprigionato.
Dopo alcune ore di ozio e di arrampicate sui bamboo (attività molto in voga tra i koala) fu liberato da una guardia che tra la sua pelliccia trovò il passaporto regolarmente vidimato dalla dogana.
Espletate le formali scuse di rito si diresse verso l'ospedale veterinario dove trovò ad attenderlo lo zio Proraso in letto di morte. Egli era orribilmente grasso. Da fare schifo insomma.
Le sue ultime parole furono "studia... diventa un grande arrampicatore! e mangia euca....buuuurp..." e con un forte rutto spirò.
Pirulino si mise a lacrimare, non tanto per la morte del caro zio, ma più per le esalazioni dell'appena defunto.
"Beh, non c'è che dire" disse sconsolato "anche se mi ha ruttato indosso terrò fede al suo volere".
Decise così di tornare a casa, stavolta intrufolandosi nella stiva del primo aereo per Melbourne.
Qui, il buon Pirulino riconsegnò il malloppo di sassi ai genitori, intonso, poiché nessuno se la cagava 'sta valuta. E si rimise a studiare più intensamente di prima, con la ferma convinzione di divenire un grandissimo arrampicatore di bamboo. Cosa che puntualmente fece, in onore del grasso zio.

mercoledì 7 dicembre 2011

Bambi

Continuano le rivisitazioni in chiave moderna e realistica della classiche fiabe. 
Ho cercato di renderla un po' allegra, ma inutilmente. Bambi trasuda tristezza da ogni poro. E' proprio impossibile renderla una storia felice. Quindi cari bambini, rimanete accanto alla vostra genitrice che legge la storia e stringetela forte con le vostre manine grasse e unte da neonato.

C'era una volta, un piccolo cerbiatto di nome Bambi. 
Vi starete chiedendo da dove viene quel nome altresì bizzarro. Ebbene, il cucciolo non brillava d'acume e la madre, per non chiamarlo Rimbambito, decise per un più dolce "Bambi".
La madre era una cerbiatta alcolizzata e il padre era un noto spacciatore di anfetamine ed era soprannominato "Er principe der bosco"e non essendo mai a casa fu la madre ad accudire il piccolo Bambi, il quale fraternizzò con altri piccoli animalini della Foresta: il coniglietto Tam-burino, che trasudava tamarraggine solo a vederlo e la piccola Fiore emarginata da tutti in quanto puzzola.
Insomma, solo con simili amici poteva trascorrere la fanciullezza questo cerbiatto. I tre si divertivano come matti, specialmente deridendo il povero Tam-burino che tra le altre sue sfighe aveva anche quella di un tic poco elegante che lo portava a sbattere la zampa più volte per terra e ruttare.
Un giorno caldo d'estate, la madre sotto pesante effetto di assenzio, trascinò Bambi in una radura scambiandola per casa e svenne. Il piccolo cerbiatto, lasciando la madre esanime, decise di avventurarsi in questa radura e conobbe un'altra piccola cerbiatta: Faline, che in lingua cerbiattesca significa divoratrice di falli (insomma..una giovane meretrice, poiché le mode degli anni duemila prevedevano ciò), ma questo il piccolo Bambi non lo sapeva. Nella sua stoltezza iniziò ad innamorarsi. E mentre i due si osservavano ebetemente negli occhioni da cerbiatto, un colpo tuonò nella radura.
Era un terribile cacciatore filippino, servo di un noto cacciatore benestante milanese che gli faceva fare il lavoro sporco.
Iniziò un fuggi fuggi di bestie che non si capiva più nulla.
La madre di Bambi, svegliatasi con un mal di testa feroce chiamò più volte il figlio, ma poi pensò "Bah..chissenefrega, tanto è scemo" e corse via per sfuggire al cacciatore, il quale però fece poca fatica a colpire la vecchia baldracca poiché questa zompettava lentamente e a zig zag per colpa della sbronza.
Bambi vide la madre crollare a terra, colpita... e cercò stupidamente (in quanto rimbambito) di avvicinarsi per soccorrerla, ma il cacciatore filippino dalla vista lunga cercò di impiombarlo più volte, ma il piccolo cerbiatto riuscì miracolosamente a fuggire.
Tornato nella tana, scoprì che il padre era stato messo in galera. Era davvero solo adesso.
Passò un anno un po' in letargo e un po' rincorrendo la propria coda in circolo.
La primavera successiva, Bambi che ormai era un giovine cervo cornato ritrovò i suoi due amici d'infanzia: il coniglio burino e la puzzola, che nel frattempo avevano trovato l'amore animalesco tra loro e avevano pure dei cuccioli: degli immondi incroci che tra gli altri vedevano un coniglio puzzolente.
Prima di cadere in depressione, Bambi reincontra Faline, che nel frattempo aveva messo la testa a posto e non aveva smesso di pensare a quello stolto di Bambi.
Insomma, senza star qua a dilungarmi troppo questi due cervi si ritrovano e copulano.
Ma come in ogni fiaba che si rispetti, volete che i cattivoni di turno non ricompaiono???
Ed eccoli qui al gran completo: il cacciatore benestante milanese col suv parcheggiato fuori dal bosco, la sua masnada di segugi e il suo sguattero filippino. I due iniziarono a sparacchiare come ossessi su ogni animale che vedevano.
Una strage di bestie. Uccelli, formiche, scoiattoli, orsi, tigri, elefanti, cervi... insomma... ne stavano morendo di ogni specie in quel piccolo boschetto alpino. Bambi e Faline che stavano copulando, si distolsero dai loro carnali impegni e fuggirono, ma nel fuggi fuggi si divisero.
La giovine cerbiatta venne accerchiata dai segugi che iniziarono a divorarla e Bambi accorso udendo le urla straziate dell'amata si ritrovò dinnanzi l'orrida scena.
Cercò dapprima di ingaggiare un duello con i cagnacci, ma vistosi in netta difficoltà ragionò da cervo e fuggì, lasciando l'amata agonizzante in una pozza di sangue.
La sua corsa però durò ben poco perché dopo qualche falcata vide un po' di mangime per cervi in terra con tanto di cartello "Mangiami". Lui si avvicinò, avendo un certo languorino e zac! Cadde nella trappola del perfido cacciatore milanese che lo uccise e lo trasformò in succulenti salamini di cervo.

La morale di questa storia è: Scappa e salva la pellaccia, ma dubita di strani cartelli che invitano a mangiare. E non accettare mangime così a caso.




mercoledì 30 novembre 2011

Pinocchio

Oh miei piccoli bimbi moderni, dite la verità..quanto vi annoiano le solite classiche fiabette con il nauseante buonismo che trasudano??? Tanto vero? Le vostre manine protese in segno di disprezzo e le vostre bocche storte bavose mi fanno proprio capire questo. Bene! Da oggi potete dire basta alla bontà del passato! Ecco a voi le nuove fiabe rimodernizzate per venire incontro ai gusti sempre più esigenti di voi piccoli bastardi viziati.

C'era una volta un artigiano bergamasco soprannominato Mastro Ciliegia, poiché era solito bere molto vino e picchiare a nerbate la moglie la quale, dopo aver subito le percosse, andava in giro con il viso rosso, come una ciliegia per l'appunto.
Un bel dì decise di prendere un arnese dal fallico aspetto, per soddisfare le voglie sempre più perverse della moglie che si sentiva trascurata.
Ma siccome quegli aggeggi in plastica erano molto costosi ed essendo lui un artigiano decise di fabbricarselo da solo.
Andò quindi in una discarica abusiva, ricca di liquami radioattivi, rubò tanto compensato e si mise al lavoro.
Ma dopo un po' di intarsiamenti sentì un urlo lacerante provenire dall'arnese che stava costruendo.
Spaventato e lasciato il lavoro a metà, decise di regalarlo all'amico Geppetto, chiamato così perché era essenzialmente uno stolto. Egli però era entusiasta del regalo inaspettato perché da sempre voleva costruirsi un aggeggio sessuale da vendere alle donnine sole e fare soldi facili.
Decise di costruire non solo l'aggeggio sputa-semi, ma anche tutto il corpo attorno. Come una sorta di bambola di legno, ma sessuale.
Dopo settimane di truciolamenti e di trapanate chiuso all'interno del suo capannone, il corpo prese forma e urlò nuovamente. Era vivo! Geppetto all'inizio fu molto spaventato, ma poi realizzò che questo era un vero e proprio miracolo poiché essendo animato, l'oggettino zozzo poteva essere ancor più proficuo. Scoprì inoltre, dopo una lunga conversazione, che dicendo delle bugie la bambola di legno si eccitava a tal punto che gli cresceva lo sventrapapere utile all'atto sessuale. Gioia e tripudio!
In accordo con un istituto di marketing, decise di chiamarlo Pinocchio poiché il nome era ambiguo e ambivalente: poteva essere un curioso nome da dare al pistulino (del tipo "mmmm ma che bel pinocchio hai lì in mezzo alle gambe) oppure con un astuto cambio di consonanti poteva essere usato anche dagli omini attratti da altri omini.
Una volta vestitolo, Geppetto si recò al Misex per mostrarlo a tutti i pervertiti che si recavano a quella fiera.
E fu un successone. Ottenne diversi numeri telefonici di signore sole, ma anche di tanti maschietti.
Ora non restava che portarlo nelle case di queste persone, usarlo e poi incassare.
Certo, per Pinocchio non era facile dire così tante bugie, ma alla fine riceveva tanto piacere e iniziò a prenderci gusto fino a quando, un bel giorno, si vide dinnanzi una laida vegliarda con le gambe spalancate che urlava "dimmi una bugia dimmi una bugiaaaa" e decise che basta, questo era troppo. E dopo aver rigurgitato, scappò.
Si ritrovò lungo un viale popolato da trans e qui venne accalappiato da due schifosi individui con grosse parrucche soprannominati "Gatto" e "Volpe" per il diverso colore della peluria.
Dopo averlo segregato in cantina per settimane e usato per ogni tipo di perversione facendogli dire ogni tipo di bugia possibile ed immaginabile, si stancarono e decisero di disfarsene gettandolo lungo un fosso della tangenziale, non prima di derubarlo dei pochi dinari che possedeva.
Il povero Pinocchio era in lacrime. Così tante bugie aveva detto durante questi mesi. Che si ok, lo facevano eccitare, ma veniva sempre usato per i più sordidi scopi.
Gli sembrava di essere una di quelle ragazzine teenager che andavano molto in voga in quel periodo. Troie, apparentemente felici di esserlo e sbatacchiate a destra e a manca.
Abbassò il capo per la vergogna e decise di cambiar rotta mettendo la testa a posto.
Lesse su un giornale che un nuovo politico era in città. Mangiafuoco, si chiamava (poiché del Sud e mangiava molte cose piccanti), del partito dell'Asinello.
Pinocchio si presentò, piacque per la sua faccia di legno e si fece tutta la trafila.
Divenne dapprima un simpatizzante, poi un membro e scalò rapidamente la carriera politica fino a divenir consigliere di Mangiafuoco. Tutto questo grazie alla sua facilità nel dire bugie che si sà essere la dote principale di un politico.
Purtroppo un giorno venne fotografato da alcuni paparazzi mentre aveva un'enorme erezione durante un comizio in una scuola, fu additato come pervertito e dovette lasciare l'incarico.
La vita per Pinocchio gli stava regalando solo grandi delusioni. Un freddo mercoledì pomeriggio però vide un annuncio singolare "cercasi addetto alla ferrovia locale". Si presentò ed ottenne il posto.
Meraviglia delle meraviglie, prese il posto di un passaggio a livello... e che livello se capite a cosa alludo!
Questo lavoro lo impegnava fino a sera e un giorno, mentre staccava da lavoro, incontrò un transessuale (chiamato Fata Turchina per il colore delle sue vesti) che si innamorò di lui e vissero tutti felici e contenti.

La morale è questa: le bugie hanno sì le gambe corte, ma quante gioie possono recarvi!

lunedì 28 novembre 2011

Pino il pinguino

E siam quindi giunti a ritrattar di fiabette, utili al bimbo moderno per capire il reale significato della vita e dei pericoli che essa nasconde. Siccome molti genitori imbufaliti mi hanno fatto notare che non solo le mie fiabe non conciliano il sonno dei pargoletti, ma anzi li fanno agitare in preda alle convulsioni..dico loro di far visitare i loro pargoli da un esorcista e di non rompere più i coglioni.

C'era una volta un pinguino di nome Pino.
Era un pinguino paffuto e molto simpatico. Viveva insieme ad altri amici pinguini in un igloo posto su un pezzettone di ghiaccio alla deriva. Lo condividevano pagando un esiguo affitto e si divertivano un casino.
La vita trascorreva beata e allegra tra i flutti di acqua ghiacciata e sferzate di vento gelido, giocando con l'acqua, spruzzandola vicendevolmente in faccia, zompettando con cadenza da pinguino in lungo e in largo.
Un bel giorno, a Pino balenò nella sua mente sempre attiva e dalla fervida immaginazione, la voglia di viaggiare e di esperienziare una bella avventura al di fuori del suo pack di ghiaccio.
I suoi amici-coinquilini di igloo rimasero basiti da questa sua nuova voglia. In fondo si stavano trovando bene su quel pezzo di ghiaccio. Ci si divertiva, si giocava e si pescava in allegria.
Ma Pino era irremovibile.
Specialmente dopo aver visto un documentario in tv che parlava di migrazioni e di avventure transcontinentali di uccelli.
Si mise a fare i bagagli in un battibaleno, avvolse tutte le valigine in una membrana fatta di ghiaccio e saliva e se la mise sulle spalle.
"Quack quack quack quark!" disse ai suoi amici. Che tradotto dal pinguinese voleva dire "dai non ci metterò molto... torno presto!" e volò via.
O meglio... cercò di volar via! Era un pinguino in  fondo, non un uccello!
Senza tener conto del peso dei bagagli!
Fece due svolazzate in aria e spluf! cadde in acqua. Il peso dei bagagli però lo portava sul fondo e dovette sbarazzarsene agitando le alette e i piedini palmati. Insomma, perse tutti i suoi averi.
Tornato sul pack di ghiaccio e deriso dagli amici, decise di non mollare il colpo.
Aspettò la notte e si gettò in acqua nuotando verso l'equatore.
Quel che Pino non sapeva era che più a nord (dall'Antartide) andava... più caldo faceva!
Non era abituato a simili temperature! Iniziò a sudare copiosamente e figuratevi miei piccoli lettori quanto doveva soffrir di caldo se riusciva a sudare anche in acqua!
Ma la voglia di scoprire nuovi posti gli infondeva la voglia di continuare.
Una volta toccata terra in Argentina, Pino si ritrovò a camminare lungo terreni a lui nuovi. Terra...sabbia...erba... erano per lui dolorose perché i piedazzi palmati non erano abituati.
E il caldo era opprimente. Insopportabile.
Andando verso un curioso insediamento umano, fatto di palazzi alti e cemento per terra vide il simbolo del ghiaccio su un fabbricato e decise di fiondarvisi senza pensarci su due volte.
Appena entrò...l'aria si fece subito più "pinguina" (dovrei dire più "umana" ma non è questo il caso).
E vide diverse enormi vasche di ghiaccio dai colori più vari... con dei nomi posti su delle placche di metallo. Fragola, Lampone, Cioccolato... lui decise di avvicinarsi ad una vasca con una placca vuota. Scrisse con simpatia usando la pinnetta ed un pennarello "Pino il pinguino" su di essa e si gettò a nuotare tra quello strano ghiaccio delizioso.
L'orrore lo colse all'improvviso quando venne macinato e triturato dall'enorme paletta che si abbattè improvvisamente nella vasca.
Si scoprì poi che Pino era entrato in una fabbrica di gelato e che con il suo sacrificio contribuì a creare il gusto "Pino il pinguino".
Solo nelle migliori gelaterie.

giovedì 24 novembre 2011

Vita da vitello

Essere un vitello non è facile.
Non voglio prendere in giro nessuno.
Se mai un giorno nella vostra vita vi venisse il pensiero "oh che bello, quanto vorrei essere un vitello"... no guardate. Vi sbagliate di grosso.
Non è tutto oro quel che sembra. Si certo, vita all'aria aperta, il cibo non manca, si muggisce tutti in coro..
Ma tipo ora..mi sto annoiando di brutto mentre pascolo placidamente all'alpeggio. I miei simili stanno brucando. Io ho appena vomitato e rimangiato quello che è uscito. Voglio dire... se vi sembra vita questa.
Cosa vorrei??
Mi piacerebbe correre al Parco Pineta. Per esempio. Magari ascoltando della musica sull'ipod. Ci sono parecchie hit nuove del genere muggì-pop.
Oppure andare in macchina. Oddio... è già successo ad un mio amico equino l'anno scorso e non è che sia andata benissimo la cosa. Ma io son sicuro di fare meglio!

Eccolo, adesso il pastore ci fa mettere in fila e ci fa rientrare in stalla.
Ahia!!!! Che pungolata cacchio!!!! Ma ce n'era bisogno dico io??? Entro, entro!
Che palle, adesso son qui in 1 metro quadrato di box con tanto di quel foraggio da far invidia alla fattoria di fronte. Fottuti cavalli.
Mangio...
Sono ingrassato a dismisura negli ultimi due mesi. Sarà il metabolismo bovino che accelera, ma sicuramente tutti questi chiletti non mi fanno bene. Vanno tutti sui fianchi... dovrò iscrivermi a qualche corso di pilates credo.
Ma un momento! Oh, finalmente una novità in questa cavolo di fattoria!
Il fattore fa entrare i vitelli più grassi in quella stanza. Oh che bellezza! Ci metterà a dieta??
Mah... non è che mi convinca poi più di tanto sta cosa...
Ossignur dei vachìt!




domenica 20 novembre 2011

Orgoglio e pregiudizi da benpensanti

Questa storia narra, tra le altre cose, delle gesta di una famiglia di benpensanti. Per questa lettura è pertanto consigliata la presenza di un genitore poiché potrebbe contenere azioni, atti, parole, discorsi che potrebbero ledere la vostra sensibilità fanciullesca.

Prussia, un bel po' di anni fa.

Allo scadere delle guerre volute dal Kaiser per diletto, Augustus Waccher si ritrovò nuovamente in una città pullulante di vita. Baldanzosi maschi ripopolarono le città e il Waccher si ritrovò nuovamente a che fare con altri (troppi) rivali in amore.
Augustus durante questi mesi di spensierata libertà si dilettò nella ricerca di piaceri terreni sempre nuovi e sempre più peccaminosi, copulò con diverse fanciulle e tra mille mila avventure, si divertì molto. Anche schivando diverse insidie come le "donne trasformate da uomo", una novità per quei tempi.
Dovette però desistere dalla forsennata ricerca della donna ideale con la quale instaurare un profondo rapporto carnale e spirituale poiché la sua famiglia lo richiamò all'ordine. Mentre viveva in solitudine all'interno di un bugigattolo sulle rive di un fiume, ricevette la visita di un messo recante una lettera, attorcigliata ad un piccione viaggiatore, dei suoi genitori. Augustus doveva recarsi ad una cena la sera stessa.
Non vedeva la famiglia da parecchio tempo e decise così di accettare l'invito.
La vista della sua dimora gli scaldò il cuore... ah, il suo letto caldo... le sue trapuntine di organza!
Ma la cena, come spesso accade nelle famiglie dei benpensanti, si rivelò essere un'astuta trappola per farlo tornare sulla retta via. E il tutto dinnanzi ad una buona zuppa calda d'orzo, pietanza molto in voga tra le famiglie bene dell'alta aristocrazia prussiana.
"Augustus, mi passi un po' di quella deliziosa salsa?" disse il padre. "E quando la smetterai di fare il degenerato?" aggiunse subito dopo aver ricevuto la scodellina.
"Giammai padre! La mia via è la copulazione e nessuno mai riuscirà ad impedirmelo!" urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo il giovine rampollo. "E sappi che troverò anche la donna ideale con la quale instaurare del sano rapporto carnal-spiritual".
"Diamine donna... hai partorito un essere alquanto spregevole" disse il padre furente rivolto alla madre, la quale in risposta sbattè a terra il tovagliolo in segno di disprezzo.
"Ma non lo vedi, Augustus, che le donne son ora tutte attorniate da baldi giovinotti veterani di guerre eroiche, mentre tu sei un omuncolo giallognolo in volto e senza speranza alcuna di incutere in una fanciulla quel buon senso orgasmico che solo un esperto uomo d'armi potrebbe donar loro???" disse la madre con un arguto giro di parole.
"Mah, sarà..." disse Augustus ben pensando di tener celato il suo "grosso" segreto riposto con cura nelle braghe del "di sotto". (ricordo infatti che il buon Augustus aveva un gran dono nelle zone umide e tropicali e le donzelle ne erano sempre alquanto attratte).
In preda ad una crescente rabbia, Augustus decise di terminare quella cena esternando un rumor di corpo viscerale in segno di stizza e scappando fuor di casa in un battibaleno.
"Che villano! Che mascalzone!" dissero in coro madre & padre portandosi con rispettosa vergogna il tovagliolo dinnanzi alla bocca.
"Rodolfo, libera i cani!" urlò dopo poco il padre con tono perentorio, rivolgendosi al maggiordomo.
E fu così che Augustus superò diversi record di velocità e di salto agli ostacoli fuggendo dalla sua casa e rifugiandosi nel bugigattolo in riva al fiume, che nel frattempo era stato utilizzato da dei senza dimora per crearvi un piccolo circo delle pulci.
Non vi tengo nascosto il disgusto di Augustus nel dover ripulir tutta la sporcizia presente, ma in fin dei conti era libero ora.
Il rientro negli agi fu un errore imperdonabile per lui che, rampollo ormai decaduto, voleva solo una cosa: la libertà. Quindi decise di festeggiar la ritrovata speme con una caccia alla donzella come ai vecchi tempi. Si mise quindi alla ricerca di gentil sesso in ogni dove, dalle locande ai negozi di brugole, ma con orrore scoprì che tutte erano ormai state accalappiate dai reduci di guerra. Il suo spirito crollò tutto d'un pezzo e decise di poggiarsi sul muro di una chiesa con un gruppo di musicanti un po' strani. Indossavano delle gabbie per uccelli in testa e danzavano con strani passi e strani versi. Ad Augustus sembrava un luogo già visto. Alzò gli occhi e vide un Gesù in sasso con delle mani poste in avanti in segno di discolpa.
Un senso di deja-vu lo colse. E lo lasciò sgomento per un bel po' di ore. Quando si riprese, vide davanti a lui una ragazza alquanto bizzarra. Gli occhi erano celesti come il cielo d'inverno e i capelli paglierini come la paglia in un fienile senza mucche. E gli sorrise. Il suo cuore palpitò e riprese a sentir crescere in lui la speme di aver trovato una ragazza piacente e forse libera. Si fece sotto con un ardore senza eguali e disse a lei "Dolce fanciulla dai capelli color fieno e dagli occhi come il cielo... sei stupenda, la ragazza della mia vita! Io voglio te per sempre per un futuro insieme! Ti prego o dolce e baldanzosa fanciulla... amami!" la dolce fanciulla sorrise ancora di più e stava per proferir parola quando Augustus si lasciò andare ad un vecchio vizietto dei tempi andati, ossia il dire cose fuori luogo al momento inopportuno. E disse "osserva di giù il mio enorme dono come reclama il tuo corpo!". Un rumore secco e sordo scosse il centro città. Augustus venne ritrovato esanime per terra con il segno di una mano ben visibile e ben calcato sul suo volto.
"Perdinci, codesto non è un dono!!!! E' una maledizione!" urlò in faccia al suo soccorritore, un simpatico omino canuto con vesti multicolori che per svegliarlo praticò al buon Waccher una respirazione bocca bocca d'altri tempi. "Caro, non aver timore... ci sono qui io. Il tuo non è una maledizione, non dirlo mai più schiocchino""Vieni, vieni a casa mia, che ti curo questo malanno". Disse con voce stranamente suadente.
"Codesto omino è davvero gentile. Che bontà di spirito! Cià, andiamo a farci medicare nella sua dimora". Pensò stoltamente Augustus.
Quello che non sapeva era che una nuova moda era nata nella civiltà Prussiana dell'epoca. E tutto per colpa della guerra e della fratellanza morbosa tra uomini durante il conflitto.
L'orrore si dipinse sul suo volto quando realizzò.
Ma fu troppo tardi.

mercoledì 16 novembre 2011

Erik

BUM. Un forte boato.
Erik si veglia di soprassalto. Guarda immediatamente fuori dalla piccola finestrella aperta, che tutte le notti funge da piccolo schermo per osservare le stelle e perdersi nei pochi ricordi che gli rimangono della sua famiglia. Della sua infanzia.
Un’esplosione, laggiù … al confine sud del villaggio.
Poche ore prima non credeva che i ribelli avessero le palle per avvicinarsi così tanto durante la notte, ma ora è successo.
Si alza scattando come una molla, è già vestito, tutti sono già vestiti per eventualità come questa. Afferra l’AK47 che è ai piedi del letto e si dirige verso la piazza antistante la baracca, dove dorme tutte le notti da un anno a questa parte insieme ad altri nove bambini soldato come lui.
Una volta al centro della piccola piazza in terra battuta osserva come dalle altre tre baracche del villaggio altrettanti bambini imbraccianti fucili automatici si dirigono verso il posto dove ora si trovano lui e i suoi fratelli di armi.
Dalla piccola casetta a nordovest escono tre uomini, sono il Generale Ahbed e le sue due guardie del corpo. Lo sguardo terribile dietro gli occhiali da sole, che sembra avere incollati anche di notte sul suo marmoreo viso, emanano una collera senza eguali. Erik non ricorda di averlo mai visto così furente. Come un mastino al quale si tira un calcio in pieno stomaco.
“Cosa cazzo sta succedendo?” urla puntando un dito rabbioso verso il gruppo di piccoli soldati.
“Un’esplosione alla porta sud del villaggio” risponde con autorità uno dei ragazzi al quale il generale ha affidato la ricognizione notturna.
Erik si trova da poco in quella merda, ma ha trovato il tempo e il modo per fraternizzare con tutti gli altri bambini che, come lui, sono stati strappati dalle loro terre e dalle loro famiglie per unirsi all’esercito regolare.
Il Generale abbassa la mano, apre con estrema lentezza la fondina che porta attaccata alla coscia, estrae la pistola 9 mm che porta sempre con sé e la punta alla fronte del bambino.
“Primo. Chiamami Signor Generale alla fine di ogni risposta.”
Clic, abbassa il cane dell’arma.
“Secondo. Hai fallito il tuo compito. Dovevi sorvegliare e dovevi vedere, cazzo, che stava succedendo qualcosa.”
Schiaccia il grilletto.
Un colpo secco.
La testa del piccolo soldato che vola in mille pezzi.
Erik si ritrova della materia cerebrale sulla spalla destra, ma ha troppa paura per fare qualsiasi gesto e decide di tenerla lì dov’è.
Il piccolo soldato si chiamava Jules. Era lì da tre anni. Due in più di Erik. Giocavano sempre insieme durante le pause dalla routine quotidiana con una palla fatta di stracci. Era bravo Jules. Raccontava belle storie. Erik ricorda in quegli stessi istanti, mentre il cervello del suo amico si trova sulla sua spalla, di come Jules facesse ridere tutti quanti la sera, prima di addormentarsi.
 Addio Jules.
“Che questo sia di monito a tutti quanti voi. Chiaro? Un’altra cazzata come questa e ne faccio fuori 10 di scarafaggi come voi. Avete capito brutti stronzi?”
“Sissignore!” è il coro che esce spontaneo, senza pensarci due volte, dalle gole arse del manipolo di bambini impauriti. 
“E ora seguite Karim, stategli attaccato al culo e vate quello che vi ordina” urla il generale rimettendo la pistola ancora fumante nella fondina.
Erik e gli altri si dirigono frettolosamente verso Karim, una delle guardie del corpo del Generale. E’ un uomo alto e robusto con una lunga e profonda cicatrice sul volto. Non ci mette troppo  a sbraitare ordini ai piccoli soldati.
“Tre di voi si mettano al riparo dietro a quella buca, due di voi mi stiano attaccati al culo e il resto di voi prenda posizione lungo il perimetro. Fate fuoco solo a bersaglio sicuro. Non sprecate munizioni.”
Il manipolo di bambini corre a mettersi nelle posizioni solite degli addestramenti, tolgono la sicura quasi all’unisono e rimangono fermi, immobili. Aspettando che il nemico da sempre temuto si faccia vivo.
Erik suda, stringe talmente forte il pesante fucile che le nocche iniziano a dolere. Il cuore accelera, la paura inizia a salire.
Solo pochi mesi prima si ritrovava ad aiutare la nonna nelle faccende di casa. Era la sua unica famiglia. Lui, figlio di operai della vicina raffineria di petrolio. Rimasto orfano troppo presto per colpa della guerriglia che da anni infiamma il cuore della Somalia.
Ad un tratto, mentre il piccolo  Erik è ancora assorto nei nostalgici pensieri della sua infanzia, il nemico appare. Ombre scure nella notte. Una raffica di mitra. Poi un’altra. Un’altra ancora. E poi iniziano a piovere granate.
I colpi sono spaventosamente forti. Ma fortunatamente sono cadute distanti dalla loro postazioni. Si alzano nuvole di terra e polvere. I nemici iniziano ad apparire dietro gli alberi della foresta che circondano il villaggio. 
Altri spari. Questa volta più vicini.
Erik sente una puntura nello stomaco. 
Improvvisa. Non troppo dolorosa.
Si porta le mani dove sente dolore e sollevandole i suoi occhi si fanno enormi. Sangue. 
Tanto sangue. 
Ora il dolore si fa più forte. Lancia un urlo. 
Freddo.
Forse chiudendo gli occhi tutto passa.
Come in un sogno. Un incubo.
Erik non si accorge di morire.
E poi, il buio.



domenica 13 novembre 2011

100

Percorrere una strada liscia, priva di ostacoli è la più grande noia che potrebbe capitarmi.
Quando inforco la mia mountain bike, preferisco sempre scegliere percorsi accidentati, duri, difficili.
Perché? Perché sono scemo? Naaaa... anche, ma... naaaa non è questo il vero motivo.
Perché mi fanno apprezzare di più quello che faccio e quello che scelgo di fare.
Una strada piana non ti regala niente.
Uno sterrato, la polvere, le cadute, le risalite... quello è vivere cazzo!
Amo tornare pieno di lividi, sporco, infangato... ma vivo. E più forte di prima.
Quello che mi fa rialzare tutte le volte è la speranza e la convinzione di quello che voglio e quello che faccio.
Non potrei mai sopportare una vita tranquilla.
Vi giuro.
Quindi vi prego, riempitemela di difficoltà.
Voglio sudare ogni singola cosa che faccio.
Averla piena di sassi, di fango, di cadute... la voglio bramare. La voglio assaporare.
Solo quando si è in difficoltà si riesce a capire quello che si vuole realmente.
E cazzo se è vero.

Keep rocking' folks

p.s. è il mio post numero 100 in questo scalcinato e inutile blog. Un passo. Ce ne saranno molti altri.

Barbagianni e piccoli idioti

Era una fredda serata autunnale e il barbagianni Gianni (sua madre non ha mai brillato di grande fantasia) si apprestava ad uscire per il suo solito ingrato lavoro. Ossia non fare nulla per tutta la notte.
Molti sopravvalutano infatti l'utilità di questi rapaci notturni, in realtà il loro scopo è servito più a scrittori di dubbia fama e a poeti maledetti che ad altro.
Insomma, Gianni si stava preparando per uscire. Indossò il suo blazer blu (tirava un venticello!), prese la valigetta di cartone rigorosamente vuota, addentò un panino col tonno e finalmente uscì dall'albero cavo dove aveva nidificato, non prima di aver chiuso a doppia mandata il solido portone in paglia con le sue zampette artigliate.
Tutto sembrava tranquillo, come al solito. Gianni si appostò su un albero poco distante, ripose con calma barbagiannesca il blazer nella valigetta vuota e si mise lì fermo, nella sua classica posa da barbagianni.
Ad un certo punto scorse in lontananza un paio di occhi infuocati che si avvicinavano.
Guuuuf guuuuuf, iniziò a gufare. Sia facendo scongiuri, sia facendo il verso. Ma niente, gli occhi si avvicinavano sempre di più.
Ed ecco che da un cespuglio balzò fuori un bimbo con un simpatico cappellino con su due occhi giganti rossi roteanti.
"Sto camminando! Ye ye! Sto camminando! Ye ye!" urlacchiava spensierato.
Era il piccolo Alfonsino, rampollo di una nobile casata che dimorava nei paraggi.
Il piccolo non ha mai brillato per intelligenza e infatti anche quella sera ne dava ampia dimostrazione.
In lontananza delle torce si accesero e si sentirono delle voci che risuonavano nel bosco.
I suoi genitori lo stavano chiamando. Ma Alfonsino fece orecchie da mercante e decise di giocare un buffo scherzetto ai suoi anziani genitori. Si infilò in un pertugino tra un albero e un enorme masso e decise di aspettare i suoi vecchi per poi saltar fuori e farli spaventare.
Ma quello che Alfonsino non sapeva... è che il pertugino era abitato da un topo mannaro, ma essendo molto piccolo non ebbe di che preoccuparsi. Infatti appena il topo si trasformò in un topo muschiato ancor più ripugnante, il bimbo lo prese urlando "uuuh topino, topino!" e trec... gli tirò il collo.
Insomma, ve l'ho detto... non brillava di acume.
I suoi genitori intanto si fecero sempre più vicini e le voci sempre più preoccupate. Quando i due vecchietti si avvicinarono al rifugio, Alfonsino sbucò fuori urlando "REFERENDUM!!!!" brandendo il cadavere del topo mannaro a moh di trofeo.
Bam. Bam. Due forti tonfi si udirono nella notte. I due genitori crollarono lì a terra. Stecchiti. E il piccolo Alfonsino li guardava con occhi spiritati. "Pa, ma??? Ma non vedete cosa ho qui??? ho catturato una preda! Pa! Ma! Topino!!!" Non accorgendosi di aver fatto morire di spavento i due vecchi genitori.
"Vabbè... dormite pure va... io torno a casa" disse il piccolo imbecille.
Alfonsino non capì mai cosa successe ai suoi genitori. E non capì come mai il giorno seguente venne messo in un orfanotrofio per ricchi scemi. Seppe solo una cosa... che da quella sera, ogni qualvolta si trovava da solo, udiva strane voci provenire da lontano: "cretino....cretino....cretino" gli pareva di sentire. E curiosamente, quelle voci sembravano appartenere ai suoi defunti genitori. "Bah sarà il vento" soleva ripetersi.
E il barbagianni???? Chiederete voi, o attenti lettori. Beh, Gianni, che nel frattempo aveva osservato tutto, decise di trasferirsi in un posto più tranquillo. Quindi riprese il blazer dalla valigia di cartone. E svolazzò via.
Ah che gente questi umani. Pensò.

martedì 8 novembre 2011

E' una sporca faccenda Detective Stone

Là dove il cemento regna indisturbato. Là dove il cielo ormai è di un colore indefinito tra il grigio topo e il nero di seppia. Là dove i mascalzoni regnano indisturbati. Insomma là, vive il Detective Stone il più duro detective della Omicidi di L.A.

La chiamavano "Città degli Angeli". Los Angeles. Ma di santo e puro c'era ben poco.
La criminalità era schizzata alle stelle e pure l'onanismo non se la cavava affatto male.
Sì perché erano tempi difficili quelli. Tempi in cui le donne ormai si erano emancipate, si erano fatte furbe e dure. Non era più semplice conquistarle. Erano ormai tutte da una botta e via. Sgualdrine? Forse.
I massmediologi (che dopo l'avvento in terra di san Klaus Davi avevano assunto un'importanza pari alla fusione a freddo) davano la colpa proprio ai media, con stili di vita discutibili e via discorrendo. Certo, la stramba moda nata in tv di cibarsi di fenicotteri rosa non aiutò molto in questo senso. Ma così va la vita.
Insomma, le donne erano difficili da conquistare. Lo era prima, figuriamoci in quei tempacci infami.
Il Detective Stone si svegliò come sempre con questa angoscia in petto. Donne. Donne. Non effettuava un atto erotico con una femmina da qualche anno ormai. E si dedicava alla tremenda pratica dell'onanismo almeno due, tre volte al giorno. Per scaricare i nervi, diceva tra se e se quasi a giustificarsi. L'onanismo, o arte della falegnameria, era un atto bandito dalla società umana nell'anno 2014 quando la Kiesa assunse un potere temporale pazzesco. Tutto nato da una partecipazione del papa Joseffus al Grande Fratello. Si disse per aiutare una chiesa in difficoltà, con pochi adepti. Da quel momento il papa divenne un mito osannato dai più piccoli che, per ricalcare le sue orme, si iscrissero in massa ai seminari per diventar prete e bum! Tra l'altro cambiarono nome in "Kiesa" perché faceva più figo e giovine. Quindi vi lascio immaginare cosa successe... boom di nascite per il bando dell'aborto. Malattie veneree in ogni dove per il bando dei preservativi... insomma, un gran brutto affare.
Il Detective Stone, ultimati i suoi doveri fisiologici ed effettuata una sostanziosa colazione si diresse alla centrale. Il "Checazzocollezioni Killer" era ancora là fuori.
Il capo con la finezza che lo contraddistingue apostrofò Stone con un "vecchia merdaccia" appena entrato. Dopo un breve briefing, arrivò una telefonata. L'ennesima sull'ennesimo omicidio.
"Suino d'un porco!" esclamò Stone con tutta la rabbia che aveva in corpo. Sbattè il pugno contro la scrivania, ma venne subito cazziato dal capo perché quella era una scrivania duemilesca regalatagli dalla moglie defunta. "Mi scusi, mi scusi" disse.
Il Killer questa volta colpì nel quartiere ricco della città.
Tutto era lastricato d'oro. Dalle strade (da qui l'alto tasso di mortalità per incidenti dovuti al fondo scivoloso) ai fili d'erba. Tutto era d'oro. Stone scese dalla sua bicicletta (amava tenersi in allenamento) solo dopo essere ruzzolato per 200 metri orrendamente come un deficiente. "Dannate strade, ma sono sulle tracce giuste" disse per poi correggersi poco dopo poiché stava seguendo le proprie tracce. Era ancora un po' scombussolato dalla caduta.
Il detective entrò nel palazzo lussuoso che ospitava i più grandi ricchi e perciò cafoni abitanti della città.
"Pvego si accomodi ispettove!" disse l'usciere con un impercettibile difetto di pronunzia.
"Beh, sarei detective, ma non importa" "Bazzocole, covbellevie! E' sempve un uomo devoto alla giustizia lei" disse l'usciere con un sorriso quasi beffardo. Al detective sembrò fosse una presa per il culo, ma decise di non star lì a begarla su.
Due agenti lo attendevano agli ascensori del palazzo e lo scortarono nella camera del "povero" (ma solo perché defunto, in realtà era ricco come la merda) Reginaldo DeRicchis. La polizia e persino lui, il miglior detective della LAPD brancolavano nel buio. olo dopo 2 ore buone Stone trovò l'interruttore e accese la luce. La stanza era in perfetto ordine. Suppellettili da ricchi, quali mappamondi in avorio, tele di enorme valore, tappeti persiani made in persia e non made in china, una collezione di monocoli e bombette. Insomma, la classica casa di un ricco. E nessun segno d'effrazione. Nessuna prova.
Maledizione, come tutti gli altri delitti del Checazzocollezioni Killer. Che ancora una volta si dimostrava imprendibile e imprevedibile siccome colpiva donne, vecchi, uomini, poveri, ricchi...
La vittima era posta sul divanetto in pelle di leopardo (proprio roba da ricchi) e non c'era nulla fuori posto. Neanche una goccia di sangue. Ma quindi... com'è morto codesto pover riccuomo? 
Dannazione, è una gran bella gatta da pelare, disse Stone afferrando la gatta della vittima e iniziando a spiluccarla pian piano con una pinzetta trovata sul letto.
"Un moment!!!" urlò all'improvviso e subito accorse un agente con una pastiglia di analgesico e un bicchiere d'acqua. "Ehm, no grazie era "un momento" ma troppa è l'agitazione in me e ho troncato sul finire la frase!!!" A questo povero riccuomo manca il lobo di un orecchio!!!! Santiddio il lobo!!!!! E' morto per asportazione di un lobo!!!! 
E là fuori, mentre osservava con un binocolo potentissimo, un pellicano dalle piume ambrate osservava con ghigno beffardo la scena. 
Squek squek squek sogghignò.

mercoledì 2 novembre 2011

Il goffo Camillo

La sapete quella del goffo Camillo?

Camillo era un bambino decisamente cretino e molto molto grasso. Era il bimbo più grasso del paese di Manzanazzo. Ma viveva questa sua condizione in assoluta disarmonia con il prossimo sebbene, solitamente, i bimbi grassi siano divertenti da osservare.
Egli infatti non poteva avere amici, perché intimoriti dalla sua stazza e dalla sua secrezione sudorifera intensa che provocava attimi di panico e rigurgito appena altri bimbi si avvicinavano a lui che, imbarazzato, secerneva liquidi in quantità industriale.
Un bel giorno, il buon Camillo (che come tutti i bimbi grassi in modo assurdo era anche un bonaccione) si stava recando a scuola tutto contento per esser riuscito ad eseguire correttamente tutti i compiti di matematica, materia a lui ostica ma che quella volta, complice anche un intero barattolo di Nutella, era riuscito a portare a termine. La strada che percorreva ogni mattina per andare a scuola era piccola e angusta. Lui, con il suo flaccido corpicione, strisciava lungo le pareti, occupando tutta la carreggiata e travolgendo gli incauti passanti che si ritrovavano lor malgrado sul suo cammino.
Molte volte dovettero cavarli fuori dalle sue molli membra con enormi cucchiai e, se ancora in vita, portarli in ospedale con principi di soffocamento.
Quella mattina, Camillo era un po' in ritardo a causa di un inconveniente tecnico post-colazione (che non sto qui a descrivervi perché è un aneddoto molto poco piacevole e decisamente poco adatto per i miei lettori più sensibili) e si ritrovò a galoppare a velocità sostenuta verso l'edificio scolastico, ma ad un certo punto i suoi occhi si riempirono di terrore. Le sbarre del passaggio a livello stavano scendendo inesorabili e questo voleva dire una e una sola cosa: entrare in ritardo! Si butto quindi a pelle di leone cercando di imitare le star della tivù,ma che per sua sfortuna erano muscolose ed atletiche mentre lui era solo un ammasso informe di lardo. Rimbalzò quindi per terra in malo modo facendo un rumore inquietante come quando sbattete un panno bagnato per terra: SCIAFF. E scivolò orrendamente sull'asfalto emettendo un urlacchio.
Il povero Camillo si ritrovò così incastrato tra le sbarre del passaggio a livello! Arrivarono di corsa un sacco di persone: vigili, pompieri, poliziotti, panettieri, macellai (che l'avevano scambiato per una porchetta) e persino dei preti che lo esorcizzarono. Per sua fortuna il treno, come spesso accade, era in ritardo. Ma Camillo non ne voleva sapere di disincastrarsi. Dentro di lui crebbe la paura e dopo un attimo di esitazione...si defecò completamente indosso, sebbene avesse dato di corpo prima di partire (ecco l'ho detto). I liquami fuoriuscirono dalle sue brachette variopinte a litrate e crearono una sorta di buffo laghetto marrone tutto intorno a lui. Fortuna volle che questi liquami fecero contatto con alcuni cavetti elettrici posti accanto ai binari e.. meraviglia delle meraviglie, partì un blackout misericordioso che fermò tutti i treni e fece rialzare le sbarre.
"Tutto è bene quel che finisce bene?" Chiederete voi, o miei fedeli lettori incuriositi. No. Non finì bene, perché centinaia di pendolari inferociti raggiunsero Camillo, che ancora stordito per l'accaduto, si ritrovò circondato di gente che brandiva mazze, cocci di bottiglia e ventiquattrore (insomma i classici pendolari).
Ma se in questi giorni vi dovesse capitare di passar per Manzanazzo, chiedete dove potete osservare il dirigibile che trasporta i pendolari ogni mattina da ormai 2 anni. Non rimarrete delusi.

Subito dopo aver scritto questa storia, sono stato contattato dall' ANBGO (Associazione Nazionale Bimbi Grassi e Obesi) che si è fatta portavoce dei diritti dei bimbi grassi a non essere discriminati. E' arrivato un fax con allegato questa foto di un bimbo che vuole pestarmi. Perdono. Ho paura.



venerdì 28 ottobre 2011

Il principe marrone

La storia che vado raccontandovi è probabilmente accaduta tra il secolo XIV a.c. e il XXI d.c.
Insomma... è una gran brutta gatta da pelare perché non si sa bene l'anno. E voi sapete che senza una collocazione precisa... non diventa più una storia ma un'ennesima favola o fiaba. "E che due maroni!" direte voi... basta fiabe! Beh, come darvi torto. Però oh... non è colpa mia se non c'è una data precisa. Il range lo sapete... usate la cara e vecchia fantasia. Che, per i maschi NON è quello che pensate.. quindi smettetela di fantasticare su donnine nude E voi ragazze... smettetela di fantasticare sul principe azzurro perché, cazzo, non esiste. Semmai, se vi va di culo è marrone. Toh guarda... giustappunto come l'eroe di questa storia.

Come ben sapete, il mondo che conosciamo è solo una facciata. Esiste un mondo meraviglioso parallelo al nostro che è popolato da una masnada di principi azzurri. Ce ne sono di ogni tipo. Belli, alti, palestrati, colti, interessanti, un pochino tamarri, ben dotati nel disotto, dolci, premurosi e pure un po' stronzi. Insomma... il mondo è popolato di fantasie femminili di dubbia realtà. 
Ma attenzione! Miei canuti e vegliardi lettori! Ci sono anche tante belle donnine nude, belle, alte, con un cubetto sodo (esatto, cubetto. Non è un errore), fette belle formate (non è un errore neanche qui. Il Moige mi ha multato), intelligenti quanto basta per non sentirci inferiori etc etc. Insomma. Il mondo parallelo è popolato da questi personaggi immaginari. Ma che in questa realtà esistono eccome! 
In questo putiferio orgifero di personaggi, dove ovviamente tutti si ingroppano a piè pari, esiste un principe diverso dagli altri. Un principe marrone.
Si, miei simpatici lettori. Avete sentito bene. Era proprio un principe marrone.
Egli si ritrovava solo in questo mondo perfetto. Tutto era composto alla perfezione. C'era ricchezza, case villazze enormi, un bel profumino nell'aria, auto sportive, verde ovunque... Tutto andava alla perfezione.
Ma lui, di grazia, era di un colore che non si poteva proprio vedere. Si chiese fin dalla sua primissima apparizione chi o che cosa abbia fantasticato su di lui. Si ritrovava ad essere completamente marrone, dalla testa ai piedi, con una discreta intelligenza, un discreto aspetto, un discreto caratterino e una discreta sfiga. 
Egli si sentiva a disagio perché tutta quella perfezione non si confaceva con il suo essere marrone. Le donnine nude lo schifavano perché volevano i principi azzurri. I principi azzurri... beh erano virili e grossetti quindi non lo volevano sessualmente, ma si bullavano di lui. Era un inferno.
Un bel dì, decise di farla finita. Voleva vivere nel mondo parallelo da cui provenivano tutte quelle fantasie perfette. Peggio di così, in fondo, non poteva mica essere!
Decise quindi di interpellar il Demiurgo, che dall'alto osservava l'andazzo di quel calderone di fantasie. 
"Oè demiurgo!" urlò con una voce sgradevole il principe marrone. "Dimmi, o abominio di fantasia!" rispose lui con fare da demiurgo. "Beh, senti. Io qui non posso più stare! Voglio andare là, sulla terra parallela per vivere la mia vita. Qui diamine, è tutto troppo perfetto e ci vivo maluccio." Il demiurgo, che nel frattempo faceva calzetta, stufo di quella voce sgraziata, decise di liberarsi di lui e lo inviò sulla nostra terra.
Uella, era un mondo alla sua portata! Una puzza incredibile, persone che andavano dal bello al cesso immondo, cemento in ogni dove, c'era sofferenza, dolore, guerra, pestilenza. Insomma... uno schifo di posto in cui vivere, ma alla fine adatto a lui.
Si mise quindi in viaggio sul suo cavallo marrone, mai menzionato finora perché insomma.. è una bestia ed è comunque logico che un principe sia a cavallo. Tranne forse William e Harry che come cavallo hanno solo la Camilla. Ma questa è un'altra brutta storia.
Il principe vagabondò in lungo e in largo. Quando trovava una ragazza ella lo schifava perché veniva scambiato per un uomo completamente ricoperto di merda.
Il principe cercò sempre invano di spiegare il perché di quel look, ma niente da fare.
Insomma, le cose iniziavano a non andar mica tanto bene. Certo, meglio che dall'altra parte. Però diamine. Sperava in qualcosina di meglio.
Un bel giorno, mentre pescava triglie in un laghetto inquinato, vide una ragazza tutta strana. Era bellina, ma si dimenava in giro quasi fosse posseduta. Lui le si avvicinò con fare sospetto. "Oè donzella, sei forse posseduta dal dimonio?" disse lui. "Ma no sciocchino! Sono solo felice! Non vedi? saltello per i campi come farebbe qualsiasi ragazza felice!". "Ohibò" disse lui "non conosco la felicità.. sono sempre attorniato dalla perfezione... e dove c'è troppa perfezione non c'è mai felicità!". 
Lei allora prese la sua mano e disse "ma dai! senti, ascolta questo "prot!" e fece un sonoro e squassante peto. Gli scoiattoli, intimoriti scapparono via e le triglie che aveva pescato il principe si ributtarono nel laghetto ecco che... qualcosa nel suo essere stava mutando! "O demiurgo!!! La mia bocca sta subendo una mutazione! aaaah i lati si stanno innalzando e dal mio esofago stanno uscendo strani versi!" urlò lui spaventato. E rise... rise talmente forte da far ritornar le triglie nel retino da pesca e gli scoiattoli continuar a rincorrersi sui prati. "Hai visto??? così si ride!" disse la donzella. 
Così il principe conobbe il miracolo del riso. E anche quello dell'ammore! Insomma... è quasi logico no? Cioè... un finale così sarebbe perfetto no? I due insieme... magari una vita costruita lì in quel posticino, con il principe che pesca e la fanciulla che scorrazza liberamente per i prati. In realtà non andò proprio così. Perché ci costruirono un centro commerciale. E i due furono scacciati in malomodo con le ruspe.

mercoledì 26 ottobre 2011

Il mariuol del bosco

A grande richiesta tornano le fiabe della buonanotte di quel gran burlone e adorabile canaglia dell'autore di sto blog scalcinato.

C'era una volta, o miei piccoli e fedeli lettori, un borsaiuolo che viveva nel bosco vicino alla grande e florida città di Battarocchio. Egli non aveva nome, era conosciuto da tutti come "Il borsaiuolo". Anche sua moglie, un'arzilla ventiquattrenne del luogo (si perché è noto a tutti come, nei tempi antichi, dopo i ventidue si era considerati già con un piede e mezzo nella fossa) lo chiamava così.
Persino nell'intimità. Ma qui è meglio che non mi dilunghi troppo se no i miei piccoli lettori rimarrebbero traumatizzati (anche se di cose, acciderbolina, ce ne sarebbero a quintali da dire!).
Dicevamo... il borsaiuolo incarnava lo stereotipo del lestofante gagliardo e anche un pelo tamarro, tanto caro a voi giovini d'oggi. Dal suo boschetto, si recava quotidianamente al suo lavoro di gaglioffo.
Borsaiuoleggiava prevalentemente sui Bus a cavalli ma non disdegnava nemmeno il metrò a talpe. Agiva in mezzo alla folla dalle prime luci del mattino fino alla sera, quando stanco, rincasava pieno zeppo di borse, borsoni, borselli, borsette, borsini e anche borselle. Che ok, non esistono, ma era talmente bravo che riusciva a rubarle lo stesso.
L'anziana moglie lo guardava rincasare con un sorriso benevolo e uno sguardo sornione, mentre cucinava del buon orzo, pietanza di cui lui andava particolarmente ghiotto.
Ma tutto questo non bastava poichè lui, perfezionista come pochi, non si limitava a borsaiuoleggiar portafogli, ma addirittura li sostituiva con portafogli finti in pelle di lucertola.
Ma voi sapete quanto costa la pelle di lucertola! Finì quindi, ben presto, sul lastrico.
Certo, direte voi, non è molto furbo questo borsaiuolo! Beh, bambini, adesso non esageriamo con facili sentenze, perché se non vi vanno bene le mie storielle e i personaggi che le compongono, allora andatevene via e guardate, chessò, i clippini di Vasco Rossi.
Dicevamo, che il povero borsaiuolo era sul lastrico. Così decise , per forza di cose, di sostituire la pelle di lucertola con imitazioni tarocche in polpa di pera.
Però la polpa, spesso e volentieri, si spatasciava sempre nelle mani del borsaiuolo.. finchè un giorno lo scoprirono, lo strattonarono, lo percossero e lo capitombolarono nelle segrete del castello. Che poi alla fine, tanto segrete non erano perché erano piene di mariuoli.
L'anziana moglie assunse l'avvocato Buongiorno, sì proprio quella che recentemente ha fatto scarcerare Amanda Knox e Raffaele Sollecito! Che santa donna! Era presente anche allora, pensate.
Insomma, durante il regolare (ma non troppo) processo, l'avvocato tirò fuori un'arringa talmente salata da far scappare tutti i presenti e per un vizio di forma dovuto ad un errore grammaticale proprio nella parola "arringa", venne messa su una pizza e venne scarcerato il borsaiuolo perché il fatto non sussisteva.
Ah! I buchi dell'antica giustizia!
Ma come??? direte voi... anche in epoca moderna e in terra italica è più o meno simile la cosa!!! Certo, o miei piccoli lettori. Ma vi siete fatti davvero troppo invadenti con queste interruzioni nelle mie fiabe. Attenti o vi darò in pasto all'uccello del malaugurio. E iddio ce ne scampi.
Il borsaiuolo e la moglie tornarono così nel bosco e, carichi della terribile esperienza vissuta, decisero di non vivere più nell'illegalità. Aprirono così un'agenzia di strozzinaggio, benvoluti e benvisti da tutti.

L'autore vuole precisare che ogni riferimento a processi realmente avvenuti a personaggi di dubbia moralità come per esempio una studentessa americana e uno studente italiano coinvolti in una brutta faccenda, sono assolutamente frutto di finzione cerebrale da parte di chi vuol sempre trovare il pelo nell'uovo.

lunedì 24 ottobre 2011

Riflettendo sulle tragedie...

E' un freddo lunedì di ottobre.
Vorrei fare alcune considerazioni riguardo quello che è successo ieri, ma che poi alla fine si possono specchiare in tante altre realtà.
La prima considerazione è che ieri c'è stata (come spesso accade durante queste tragedie) la corsa al ricordo per Marco Simoncelli.
Facebook era tappezzato di post, link, foto dello sfortunato pilota romagnolo.
Così come i siti, i blog e i giornali online.
Ora, non so quanti di quelli che hanno pubblicato un link o un ricordo davvero conoscessero Marco. E badate bene, non come amico o conoscente, ma proprio come pilota.
Molti scrivono e linkano per pura "moda". "Oh, tutti fanno così, allora li seguo".
Ho già espresso la mia idea sui pecoroni qualche anno fa su questo blog.
Forse solo la metà (e sono molto generoso) di quelli che hanno nominato Marco ieri e oggi lo conoscevano davvero seguendo le sue gesta in tv o nei circuiti.
Io vivo di pane e motori.
Non ne ho mai nascosto la passione. E così come me, altri (tanti) miei amici.
Ho voluto esprimere un mio ricordo perché amavo Simoncelli come pilota e come uomo. Era il mio preferito dopo Valentino Rossi. Per grinta, follia, il fatto di andare sempre al limite... Mi sveglio alle 4 di mattina per guardare una gara, mi documento, seguo ogni giorno le notizie di ogni singolo pilota.
Ma quando vedo persone (e me lo hanno persino detto) che dicono "non lo conoscevo, però poverino... metto il link!" allora mi incazzo. Non mi sognerei mai di pubblicare qualcosa per qualcuno che manco conosco o che non mi suscita emozioni. Ma questo sono io.
Seconda considerazione. Mi è capitato di leggere su diversi siti, blog, twitter, facebook di gente che come al solito ragionano sul "è morto sul lavoro come tanti altri che muoiono tutti i giorni per mille euro al mese". Oppure "ci sono stati anche 200 morti in Turchia oggi".
E' una delle frasi che proprio non sopporto.
Perché è tremendamente vera quanto inutile e priva di rispetto.
Certo, non esistono morti di serie A o di serie B. Siamo tutti uguali e di fronte alla morte non si può che provare un profondo dolore sempre e comunque. E questa è una riflessione che dovrebbe essere sempre tenuta a mente in linea di massima.
Però ci sarà sempre qualcuno a cui teniamo di più. E' vero ed è innegabile. Tanto più se questa persona è conosciuta perché famosa o perché la seguiamo.
Ed è successo e succederà sempre che persino tra i personaggi pubblici ci sia qualcuno più importante degli altri.
Vi faccio un esempio chiaro e semplice. Imola 1994. Muoiono Roland Ratzenberger durante le qualifiche e Ayrton Senna durante la gara. Roland non fu e non sarà mai ricordato a sufficienza dai media e dai tifosi per il solo fatto di non essere un "campione". Così come la morte di Tomizawa, l'anno scorso a Misano. Dopo due giorni nessuno lo ha più cagato di striscio.
Come vedete nella morte si fa distinzione persino tra personaggi più in vista, figuriamoci tra i cosiddetti vip e chi muore per un terremoto o sul lavoro.
Tutti finiremo sottoterra, gente! Inutile girarci attorno.
E una volta morti...saremo morti. Punto. Non ci sarà nessun privilegio.
Però è evidente e logico che la morte di un personaggio pubblico susciti un clamore proporzionale alla popolarità di questo.
A chiunque va portato rispetto. Al povero come al ricco. Al comune mortale come al vip.
Ma più grande è il carisma o la popolarità della persona che muore più grande sarà il clamore e il cordoglio.


sabato 22 ottobre 2011

Motorsport e tragedie... the show must go on

Domenica scorsa, con la morte di Dan Wheldon sull'ovale di Las Vegas, nell'ultima gara della Indycar Series, il mondo del motorsport è ripiombato nell'oscurità. Un'ennesima tragedia, forse evitabile forse no.
Il mio personalissimo punto di vista è che lo show deve continuare. Sempre e comunque.
Il motorsport è uno sport vero. Per uomini e donne con le palle. Chi fa questo lavoro ha la consapevolezza che ogni gara può essere l'ultima. Per un infortunio o peggio.
Questo è il sale di questo sport.
L'adrenalina, il brivido, la voglia di migliorarsi secondo dopo secondo, decimo dopo decimo, la forma fisica, la concentrazione, l'intelligenza e la scommessa continua con la morte. Questo è il motorsport.
Wheldon era un gladiatore moderno.
Un novello icaro che per toccare il sole ci è andato troppo vicino ed è finito per cadere.
In una categoria tra l'altro folle. La Indycar vedeva in quel circuito 32 vetture con una media di 350 kmh. Follia pura. Wheldon era il perno di una scommessa che valeva milioni di dollari, nel tempio dell'azzardo. 
Partito ultimo doveva vincere la gara.
Non ha frenato forse. 
Ha voluto evitare il groviglio infernale di 15 vetture incidentate davanti a lui. Ed è volato contro una di esse, scagliato ad oltre 300 kmh contro le barriere, e il casco contro le reti di protezione, strisciando per centinaia di metri. Nessuno poteva sopravvivere a quel tipo di incidente.
Dan, che lascia una bellissima moglie e 2 stupendi bambini era consapevole dei rischi e aveva accettato questa sfida. 
La Indycar non è nuova a queste tragedie, ma erano anni che non accadeva durante una gara ufficiale.
La F1 non vede tragedie da quel lontano 1994 con il fato che si portò via Senna e Ratzenberger. Da allora la tecnologia ha fatto balzi da gigante e la sicurezza è aumentata a dismisura. Ma il caso, la tragedia, quel millesimo di distrazione o forse solo la sfortuna... è sempre in agguato.
E' inutile ormai cercare soluzioni o fare facili ipocrite analisi. 
Lo show deve continuare.
Keep pushing. 


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E oggi, 23 ottobre, in mattinata ci ha lasciato anche Marco Simoncelli, 24 anni, idolo di molti (me compreso) della Motogp. Un incidente brutale. Un attimo di sfortuna. Ciao Sic.
Ma anche davanti a questa tragedia non posso che confermare le mie parole precedenti.





venerdì 21 ottobre 2011

Detective Story

Ormai siete abituati alle mie buffe strambe e folli storielle. Ci tengo a precisare per l'ennesima volta, siccome mi è giunta voce di lamentele e denunzie, che ogni storia è frutto solamente della fantasia dell'autore. Ogni riferimento a persone, cose ed eventi reali è puramente casuale. 

Anno Dimmerda 2303 - Los Angeles

Il detective Stone stava pulendo la sua arma. Una colt 44 oliata e lubrificata alla perfezione.
La città pullulava di criminali. Doveva tenersi pronto.
Guardò fuori dalla finestra del suo appartamento, al 34° piano dell'edificio più fetido della città.
Fuori era il caos. L'inquinamento ormai era alle stelle e la gente iniziava a rendersi più idiota.
Per esempio ritirando fuori la moda delle tute adidas, indossandole anche ad eventi mondani.
"Che diamine..." disse osservando un techno-nerd con una maglietta di una serie tv trash, anni 2000 per intenderci. La serie era "Violetta". Una serie tv, o meglio... fiction, come dicevano gli italiani che volevano farsi fighi. Certo, ormai passati quasi 300 anni quella serie tv è stata rivalutata e persino iconizzata. Ma questa è un'altra storia.
Il detective Stone uscì stancamente dal palazzo per recarsi in centrale, pare ci fossero notizie riguardanti il  Serial Killer che collezionava trofei curiosi dalle sue vittime. Dalle sopracciglia ai peli anali. Era soprannominato "Machecazzocollezioni Killer". Nome volgarotto perché erano ormai finiti tutti gli altri nomi e "Killer" veniva sempre appioppato perché faceva figo.
Stone capì che la giornata iniziava nel peggiore dei modi notando con disgusto la merda appiccicata sotto la suola dei suoi anfibi nuovi. Ci mise 20 minuti buoni a toglierla. Prima usando un foglio di giornale. Poi un bastoncino dei gelati trovato per terra, poi usando la terra delle aiuole (che ormai erano pochissime), infine pucciandole brutalmente in una fontana di acqua contaminata. 
Entrò in centrale seguito da un olezzo nauseabondo. 
"Stone!!! Cos'è 'sta puzza dimmerda???" urlò il Capo. 
"Niente, ho pestato un'escremento canino posto subdolamente per terra". rispose a tono Stone. 
"Vedi di spruzzarci sopra qualcosa! Ho appena mangiato!" urlò ancora il Capo "Vieni qui. Devo parlarti del Checcazzocollezioni Killer."
Stone scoprì così che il noto bastardone aveva colpito ancora nel quartiere nero della città. 
Ci si recò all'istante. 
Tutto attorno a lui era nero... si sentì un attimo a disagio poiché a volte dimenticava quanto fosse complicato aggirarsi per quella maledetta città. Ma non lo dico tanto per dire... tutte le case, le strade, gli alberi, persino gli idranti e le auto erano tutti colorati di nero in quel quartiere. "Per combattere la discriminazione", dissero i più. 
Notò subito il cordone di polizia poco distante. Si fece largo tra la folla, scostò il benpensante di turno che scuoteva il capo dicendo "non ci sono più i tempi di una volta...ahi ahi ahi..." , mostrò il distintivo ed entrò in casa.
Non l'avesse mai fatto. 
Sangue ovunque. Sembrava fosse stato sgozzato un agnello sacrificale. 
E in effetti, guardandosi bene attorno notò un agnello posto su un altarino improvvisato. "Ah.." si disse.
"Detective... il cadavere è di sopra" disse un agente. 
Salì le scale con passo svelto. 
Notò il cadavere disteso sul letto. Nudo. Posto a pancia in giù. Mancava qualcosa però... le natiche dell'uomo. "diamine... il Checazzocollezioni Killer ha colpito ancora" disse rassegnato.
Nessun indizio, nessun aiuto... la vittima era un sacerdote dell'agnellesimo. Aveva finito il suo sacrificio quotidiano quando è stato sorpreso ed ammazzato con una coltellata al petto.
"Non si riesce proprio a cavare il ragno dal buco" disse il sergente O'Neill. Stone prese una matita dal tavolino, armeggiò con il foro ed estrasse l'aracnide. "Ecco" disse. "Oh, grazie mille detective, posso finalmente portare a mio figlio il regalo che mi ha chiesto per Natale" disse il sergente con un sorriso stampato in faccia.
Erano tempi difficili in cui vivere e il detective lo sapeva benissimo. 
Il Killer era là fuori, con due chiappe nuove di zecca. Socchiuse gli occhi con sguardo da duro. "Io ti prenderò" bisbigliò tra i denti.
Intanto, un pellicano mischiato bene tra la folla di curiosi si tirò su il bavero del cappotto e con un ghigno malefico si allontanò.

giovedì 20 ottobre 2011

Storia di una ragazza minuscola

C'era una volta una ragazza minuscola,
grande quanto un'unghia del mignolo. Certo, era molto buffa e tenera da vedersi... anche perché lei aveva un adorabile stile di deambulazione costituito da zompettii a volte impercettibili. Inoltre aveva un curioso sorriso ad otto che non poteva che suscitare l'ilarità per le "poche" persone che riuscivano ad osservarla (essendo minuscola immaginiamoci il sorriso!).
Aveva un carattere impossibile però. Lunatica, impulsiva, razionale in certi momenti e troppo piena di paranoie in molti altri. E avreste dovuto vederla quando si arrabbiava! Sbuffava talmente forte da smuovere piccoli refolini di vento e roteava le braccine minuscole e ossute a mò di elicotterino. Insomma, era impossibile da sopportare quando aveva le sue lune storte.
Viveva in una casa normale. Ma tutto era enorme e sproporzionato per lei! Pensate che per prendere una tazzina per la colazione doveva scalare di buon'ora la credenza, spingere la tazza ed evitare di annegarci dentro. Non vi racconto poi le peripezie che doveva subire quotidianamente per andare in bagno, tutta imbragata per evitare cadute nella tazza. Il letto poi era enorme, lei ogni volta ci si perdeva. I suoi scattini notturni (piccolo tic che la contraddistingueva) la portavano a vagare senza meta per tutta la notte e si risvegliava spesso e volentieri agli antipodi dal punto dove si era addormentata. Insomma, era una brutta faccenda! Il suo sogno più grande era costruirsi un ambiente adatto. Vivere in una piccola casetta costruita apposta per lei. Avere tutto su misura! Cucina minuscola, tappetini microscopici, un lettino che la conteneva tutta. Insomma... una vera mini-reggia.
Ma in attesa di quello, ogni giorno doveva lottare con cose più grandi di lei. E non parlo solo di cose materiali, ma anche e soprattutto con i pensieri, i problemi e le vicende della vita di tutti i giorni. Tutto era spropositato. Le sembrava tutto un'enorme sfida. Niente poteva accontentarla e niente poteva accoglierla degnamente.
Ma era molto caparbia. Sapeva affrontare, quando voleva, le cose di petto. Era una minuscolina intelligente e brillante e seppe farsi strada nel mondo accademico con audacia e bravura, dinnanzi a ragazze della sua età enormi. Alzava la manina e saltellava per fare degli interventi... scriveva perfettamente e in bella calligrafia (il professore, che sapeva di questa sua alunna particolare, si era dotato di una particolarissima lente d'ingrandimento). E si era laureata a pieni voti.
A volte tutto sembrava andare alla perfezione.. quando ad un certo punto arrivò un brutto ceffo dalle sembianze di Gargamella. Si, esatto... quello dei puffi! In quei giorni infatti era appena uscito al cinematografo un cortometraggio sui simpatici omini minuscoli blu. Ovviamente era un'opera di fantasia, ma un esaltato nerd decise di immedesimarsi nel ruolo di Gargamella e per caso notò la minuscola ragazza che zompettava vicino casa e cercò di catturarla con un retino.
La minuscolina si divincolò dalle grinfie del fetido nerd e cercò riparo in una stalla lì vicina. I cavalli erano tutti impauriti e le mucche iniziarono a muggire forte, spaventati da quello che sembrava un topolino minuscolo. Il nerd entrò di prepotenza nella stalla e fu accolto da un casino pazzesco, proveniente dagli animali. Con tutto quel rumore e tutto quel fieno gli era impossibile notare la minuscola ragazza (che per inciso, voleva catturare per metterla in un barattolo e collezionare altre creaturine simili).
Ella però starnutì di colpo, perché le era partita l'allergia che ogni santa primavera faceva capolino nel suo organismo sì piccolo, ma sempre pieno di malanni buffi. "Eccì" fece. Ed ecco il nerd che si fece vicino! Allora decise il tutto per tutto... sbuffò talmente forte da ipnotizzare con le sue braccine roteanti un vitello lì accanto, il quale preso da un impeto di furia scalciò con le zampe posteriori il nerd fino a farlo fuggire a gambe levate.
Ecco, ora la minuscolina era salva. E questa è solo un esempio di una sua giornata tipo! Pensate che dramma vivere con questi pericoli 365 giorni all'anno!
Poi uno si stupisce delle paturnie...ci credo!

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Tratto da una storia vera...


Inutile girarci attorno, ci sono personaggi buffi intorno a noi, basta osservare bene.
Anche se molti di voi non ci crederanno, perché sembra irreale, in realtà quello che vi ho raccontato è tutto vero.
Molte volte penso e ripenso a quell'esserino che ho avuto la fortuna di incrociare sul mio cammino.
Oh quante cose potrei raccontare!


Tante, davvero... ma penso che alla fine, sotto sotto... ora da qualche parte starà sorridendo.
Otto? otto volante? otto smoscio? chissà.
Ripensando a tutte le cose fatte e vissute.. 
Nessun'altra persona che può capire queste cose.
Anche perché sarebbe davvero impossibile decifrarle se non la si conosce.


Dormire accanto, conoscendo ogni suo respiro, ogni suo movimento... 
Avere mille premure e ascoltare le sue avventure.


Molte volte vorrei solo tornare rivivere queste cose
E rimango solo con la speranza adesso...

mercoledì 19 ottobre 2011

Chele e Paguri

Pare che tra i miei piccoli lettori sia piaciuta la parte con i paguri. Quindi a grandissima richiesta (arrivano mail da oltreoceano) uno spin-off dedicato ai piccoli molluschi.


La vita sottomarina è davvero piena di insidie.
Uno pensa che magari sotto l'acqua le cose siano più calme. Più placide.
Invece no, tutt'altro!
La vita sottomarina è un inferno.
La storia che vi sto per raccontare fa parte di questo terribile universo.
La storia di due pagurini perennemente avvinghiati. Le loro cheline erano sempre unite, in un abbraccio amorevole. O almeno così sembrava.
Tutti i crostacei si facevano mille domande sul perché o sul come mai tutto questo amore per due esserini che, in fondo, erano solo dei molluschi con un guscio sul groppino.
Si erano formati dei gruppi di emuli... paguri che dopo aver finito di dimostrare il loro amore mettendo lucchetti sui ponti sottomarini, decisero di fondare una nuova moda per dimostrare il loro amore. Il chela-abbraccio. Si formarono così in tutto il mare schiere di giovani innamorati che per farsi fighi con le altre coppiette si avvinghiavano tutti.
Un giorno la coppia originaria di paguri-avvinghiati si trovò a passeggiare come solitamente facevano le calde giornate d'estate sul bagnasciuga, dopo aver fatto capolino con il testino dalla sabbia.
E dopo essere entrati in acqua videro l'immonda schiera di paguri che li emulavano. Ma che diamine sta succedendo? Pensarono in coppia.
Si avvicinarono a una coppia di emuli e chiesero il perché di questo casino.
E loro risposero che in realtà era tutta scena per farsi belli agli occhi degli altri... E che in realtà l'amore era messo in secondo piano.
La coppia originaria si allontanò ridendo sotto i baffi (si, anche i paguri li hanno. Piccoli, non si vedono ma ci sono). In realtà la loro unione è nata da un tentativo di furto.
Il terribile universo marino, come detto, non è tutto rose e fiori. Ci sono lotte quotidiane di sopravvivenza. Di furti, rapine, omicidi e morti sospette.
La pagurina femmina tentò di arraffare il guscio del paguro maschio, che essendo il rimbambito della coppia stava dormicchiando. Solo che lui il giorno prima aveva inavvertitamente rotto uno spigolino della sua casetta e aveva usato la vinavil per attaccare un pezzetto.
Ecco, inutile dire cos'è successo. La pagurina si ritrovò incollata al paguro maschio.
Certo, è stata punita dalla sua ingordigia! Penserete voi, o sciocchi lettori. No no, o meglio. Si, l'iniziale ingordigia e bramosia di una casa più grande è stata punita... ma... si ritrovarono così insieme per molto tempo... ebbero il modo di conoscersi meglio ed ebbero addirittura dei pagurini neonati.
Tutto è bene ciò che finisce bene. E quindi, vi lascio con questo bel finale... tralasciando invece la parte di quando entrò in acqua un bambino ciccione che li calpestò. Però si fece male. E allora giù tutti a ridere in spiaggia, perché si sa che non c'è nulla di più divertente tra i bagnanti che vedere un bimbo ciccione che si fa male goffamente.
Ma la schiera di giovani paguri-emuli che fine hanno fatto? Vi chiederete o voi piccoli lettori bramosi di mille risposte (iniziate anche un po' a rompere...). Semplice, un'estate arrivò quella che fu soprannominata "pacia-prensilis" che prendeva tutto quello che le capitava a tiro sulla spiaggia: dai granchi alle conchiglie ai singoli paguri... ma quando vide i paguri avvinghiati (e quanti erano!) decise di separarli tutti, ad uno ad uno, in un impeto di frenesia dettata sì dalla voglia di catturare ma anche di separare e gettare in acqua le cose. Aiutata anche da uno strano e buffo aiutante che il popolo sottomarino ancora chiama "ippo-marensis". Non vi dico che dramma! Tutti che non capivano più nulla, non trovavano più il loro partner di avvinghiate (si perché già i paguri son piccoli e invertebrati...vuoi che sappiano anche distinguersi tra loro?).
Insomma... un vero casino.
Ma questa è la vita sottomarina...

La giraffa e l'ippopotamo

C'era una volta una giraffa dal collo lungo lungo, che stava insieme ad un ippopotamo grosso grosso.
Certo, molti di voi penseranno ad una coppia mal assortita. Ma in realtà era la coppia più affiatata della savana. Avevano un rapporto molto intimo, speciale. Si parlavano e si confidavano. Si sorreggevano l'uno con l'altro. Ma un bel giorno alla giraffa vennero dei dubbi sulla sua reale condizione.
Pensò e ripensò, rigirandosi nel letto di foglie. Pensò al come sarebbe starsene con un giraffo ben assortito, con le cornine a posto e la codina dritta. Pensò a mille altre cose.
E un bel giorno decise di lasciare l'ippopotamo perché pensava fosse la scelta giusta da fare, avendo questi dubbi.
Esso si ritrovò in una condizione di assoluta disperazione. Smise anche di pucciarsi nelle acque torbide della palude (il suo unico vezzo). Non riusciva a capire il motivo di questo gesto.
La giraffa invece sembrava decisa, ma era anche impaurita da questa sua nuova condizione.
Certo, le sarebbe piaciuto riprovare l'ebbrezza dei primi appuntamenti con giraffi o perché no... anche di licaoni.
Un bel giorno incontrò una leonessa triste. La quale non volle mangiarla perché fu colpita dallo sguardo triste della giraffina. "Che hai, giraffa?" disse.
"Niente... vorrei qualcosa di più dall'amore" "Vorrei essere felice e non avere più problemi".
"Ma scusami giraffa, non stavi mica con quell'ippopotamo laggiù? sembravate felici, certo..  lui non è il massimo dell' attrazione, ma ti rendeva felice "
"Si , è vero.. ma ho paura di perdermi qualcos'altro la fuori"
" e cosa?"
"qualcosa di più!"
"ma tu ora non sei soddisfatta? non hai tutto quello che desideri?"
"beh, si... ma ho paura che ci sia dell'altro!"
"sono argomenti stupidi giraffa! Non perdere quello che di buono hai... finchè provi amore per quell'ippopotamo hai già fatto la tua scelta! E non devi scappare da questa! Se lo ami e anche se sei sicura solo al 50% della scelta di lasciarlo... l'altro 50% significa tutto!" "Certe scelte si fanno con la consapevolezza del 100%!"
"ormai... è troppo tardi leonessa. Però hai ragione, io lo amo. E' sempre stato il mio unico supporto. L'animale più importante per me... che riesce a sopportare i miei umori e le mie cornine non perfettamente piegate, la frangia non perfettamente allineata del mio pelame...mi sento al sicuro con lui"
"Vedi, giraffa? Tu hai solo paura di amarlo troppo. Non perdere l'amore vero per una sfilza di stupide infatuazioni. Hai qualcosa di concreto."disse con un sorriso la leonessa.
"forse è vero... hai ragione... ma... se..."
"Basta con questi se giraffa!!! Sii felice! Sei intelligente quanto basta per capire che se ragioni in questo modo vuol dire che perderai per sempre uno dei pochi e rari animali capaci di renderti davvero felice".
"Ci rifletterò su" disse la giraffa... e se ne tornò nella sua radura, sotto una grande quercia.
I giorni passarono, l'ippopotamo ormai le mancava davvero tanto. Ogni cosa le ricordava lui.
E forse... dico solo forse... questa sensazione di vuoto... era l'unica certezza e l'unica risposta che aveva.
L'ippopotamo intanto si stava trastullando nuovamente nella palude. Certo, era un vezzo stupido e senza senso... ma era lì. Pucciato dentro con le sue enormi fauci. D'altra parte... lo dice la parola stessa: ippo-potamo (cavallo di fiume). Che diamine! Era la sua condizione! Però le mancava la giraffina... tanto. Troppo.
Lei intanto decise di prendersi una pausa da questi pensieri e andò al mare. Ma tutto le remava contro.
Vide cavallini impauriti sulla spiaggia che nitrivano cercando di richiamare l'attenzione della madre che faceva il bagno beata... e pensava "va sto rompicoglioni", ma la cosa peggiore fu quando decise di fare una passeggiata sul bagnasciuga. Non l'avesse mai fatto! Vide granchietti bellicosi che cercavano di chelarla sugli zoccoletti e ancor peggio... vide scene di struggente tenerezza. Pagurini che si tenevano per le cheline... era questo forse lo scopo della vita??? Avere qualcuno che ti ama e che ti rende la vita un pochino migliore? Con un nitrito imbizzarrito uscì dall'acqua... spaventando molto tra l'altro il cavallino che si imbizzarrì pure lui e corse per la spiaggia travolgendo tutto e tutti.
La giraffa tornò alla palude, chiamò a gran voce l'ippopotamo.
"Ippo!!! Ippo!!! dove sei???"
"sgrunf... sbrof! fece lui... facendo uscire il testino dalla membrana paludosa"
Certo, la giraffina si aspettava un'uscita migliore... vederlo dimagrito di qualche tonnellata... ma era lì. Il suo ippopotamo. E sapeva di essere amata e di amarlo. Quel qualcosa in più che cercava... sarebbe arrivato con il tempo. Insieme a lui. Tra mille altre avventure e peripezie.