mercoledì 29 febbraio 2012

Tra cavoli e patate l'amor avanza lieto

Rieccoci qui, a continuar la storia di quel buontempone del Waccher. 
Dove eravamo rimasti? 
Ah si, giusto miei attenti lettori, avevamo lasciato il giovine Waccher assopito dopo aver seguito il saggio consiglio di un cavallo parlante di nome Donato...

E fu così che il Waccher, dopo un sonno lungo e senza particolari avventure oniriche, si ritrovò catapultato in un'altra giornata.
Si svegliò con l'amaro in bocca, che non è una metafora, ma proprio una cosa oggettiva poiché aveva ancora il sentore di barbabietole bollite, cucinategli con affetto dalla bella Lucilla la sera precedente.
Ella, come un piano concordato dal fato, fece capolino nella stalla ove alloggiava il giovine Augustus e gli propose una ricca colazione per affrontare al meglio la giornata. "Potrei aver qualcosa da farti fare. Se vuoi un lavoro, ovviamente". Propose lei con uno sguardo furbino.
"Certo che si, madamigella Lucilla" rispose di rimando lui, con uno sguardo non certo furbo.
"Adesso tieni, succia da questo seno di mucca il latte per la tua colazione e là in fondo puoi trovare del frumento per darti le energie sufficienti. " disse lei.
Il Waccher, dapprima un po' riluttante, prese a mungere e succhiare avidamente il latte da una mucca posta nell'aia (si perché nel recinto vi erano oche e polli, essendo Lucilla poco avvezza all'arte della pastorizia). E dopo aver sgranocchiato del buon frumento si avvicinò al buffo caval Donato, conosciuto la sera precedente.
"Eccoti o stolto umano!" disse Donato. "Hai visto che la mia padroncina non è in collera, ma anzi... è ben disposta nei tuoi confronti?"
"Si, beh avevi ragione cavallo. Ti ringrazio, ma io vorrei amarla e vorrei anche che lei mi amasse di rimando!"disse il Waccher un po' spazientito. "Ho sempre cercato una donna con la quale instaurare una relazione non basata solo sul mio grosso fardello posto nelle braghe umide di questa palandrana sconcia."
"Non ti preoccupare, dai tempo al tempo!" disse Donato.
E così, dopo essersi placato grazie alla saggezza del cavallo, Augustus ottenne un lavoro come missionario (ossia colui che svolgeva missioni per conto di Lucilla) ed ebbe come compagno d'avventura proprio Donato, il cavallo senziente.
Quel giorno stesso, Augustus venne inviato da Lucilla a riscuoter dei dinari da un povero contadino che era in ritardo nel depositar l'affitto delle sue terre, possedute dalla giovinetta (ovvero ereditate).
In groppa al suo fido destriero percorse in lungo e in largo la Prussia alla ricerca di questo possedimento e Donato, spazientito dall'inettitudine del Waccher iniziò a nitrire forte e rivolgergli strani epiteti anche blasfemi.
Dopo qualche ora di viaggio però, ecco spuntare la piccola fattoria con annessi campi coltivati e pure coltivabili. Da una porticina di una casupola fatta di pietra e concime fece capolino la testa di un vegliardo.
"Orsù vegliardo, consegni i molti dinari che deve alla mia diletta Lucilla e facciamola finita con codeste tiritere e dilungazioni nei pagamenti"disse in tono autoritario il Waccher, sfoggiando anche il suo linguaggio forbito, tipico dei nobili divenuti pezzenti.
"Ecco vede... io ho raccolto poco, sa, la crisi agro-alimentare si fa sentir forte!" disse flebilmente il vecchino. "Vi prego, datemi del tempo, ma vi ripagherò ve lo prometto sulla testolina dei miei nove figli affamati".
"Eh bravo, ci credo che non avete soldi se dissipate il tutto per nutrire quel reggimento di figli! Ma non sapete che esiste il "laccio-evita-figli"? (Era un marchingegno dell'epoca, diciamo un primissimo ritrovato per evitare la fecondazione che si usava attorcigliandolo attorno al pene e... vabè, penso sia chiaro).
"Ma io amo mia moglie sire... non posso evitare il concepimento che è frutto di amore." disse dolcemente il vecchino con un filo di voce.
Ma nonostante la dolcezza di quel fragile vegliardo, il Waccher decise di incutere timore per poter avere più rispetto e diede un calcione ad una giara contenente dei semi.
"No! Le sementi, no!" urlò il vecchio. "porca di quella scrofa, le sementi! Che avete fatto? Disgraziati! Ora subirete la mia collera!" disse con un'impensabile furia il vecchio che prese un forcone e infilzò il deretano del Waccher che, balzato su Donato scappò via a gambe levate.
"Che figura meschina, ohibò, scacciati in malomodo da un vecchino" disse Augustus mestamente "Ora come proferirò questa storia a Lucilla? Come farò ad ottenere i dinari che necessita?".
Ma la risposta si palesò d'innanzi sotto forma di suore camminatrici. Elle erano rinomate in Prussia per esser ricche e trasportar con se molti dinari durante i loro spostamenti nel regno. E fu così che, senza alcuna remora, il Waccher prese a randellate le suore, sottraendo loro i molti dinari e anche le vesti così per diletto. E scappò via, ignaro della temibile maledizione che è risaputo le suore portino con se.
Infatti, il Kaiser diramò un elenco di maledizioni e tra di esse vi era anche quella delle suore, che possono portar malefici inimmaginabili se viste, incrociate o toccate. Figuriamoci malmenate in malomodo!
Ma l'inebetito Augustus, ignaro di tutto, tornò alla topaia con annessa stalla della sua amata.
"Oh mio eroe! Hai i dinari che ci occorrono e anche di più!" disse con gioia e ammirazione la giovane Lucilla con un sorriso che fece ben presto perdere la testa al Waccher che si inginocchiò dinnanzi a lei.
"Ti prego o dolce Lucilla non ve la posso più! Accoppiamoci, copuliamo, effettuiamo l'amore!"disse con foga passionale il Waccher.
"Ma, ma..." rimase senza parola la fragile allevatrice. Ma colpita dal gesto e dallo sguardo supplicante del Waccher mise da parte la sua enorme timidezza e cedette. Si denudarono ed effettuarono l'accoppiamento in cucina, sul tavolo di lei. Tra cavoli sminuzzati e patate lesse. Il grosso fardello del Waccher fece il suo dovere, ovviamente attorcigliato sapientemente con un sano laccio-evita-figli.
La gioia negli occhi dei due giovini amanti, però, venne interrotto sul più bello da un forte nitrito che li fece sobbalzare. Era Donato che avvisava i due amanti dell'incombente pericolo.
Incedeva infatti a passo svelto l'Arcivescovo di tutte le Prussie, particolarmente adirato.

... continua ...

giovedì 23 febbraio 2012

Il ritorno del Waccher

Prussia, tanti anni fa. Non troppi, ma comunque tanti.

Il giovine Waccher visse così i mesi più terribili della sua esistenza. Era bramato e posseduto dall'allegro omino canuto che lo aprì alle giuoie dell'anale-sesso. Pensava volesse giocar a briscola, o tuttalpiù una partita a ramino, giuoco di carte molto in voga tra la plebe prussiana dell'epoca.
Ma la sua proverbiale inettitudine coprì i suoi occhi con spesse fette di salame. E non solo in senso metaforico! Infatti il vegliardo (che per inciso era un pervertito) si dilettava a cospargere il corpo del Waccher con diversi salumi. Il perché rimane un mistero, ma adesso non siamo certo qui ad indagare i misteri della psiche umana, suvvia.
Il Waccher un mattino di novembre, si svegliò nel suo giaciglio stanco di questa condizione. Lui voleva il gentil sesso! Non voleva questo! Si strappò di dosso l'allegra sottanina rosa perlata donatogli dal suo carceriere (gli donava si, ma era alquanto fuori luogo) e aprì la porta della casupola.
"Ah" disse "era così facile fuggire? Tutti questi mesi, pensando di essere in trappola... e la porta era aperta?" E richiuse la porticciola alle sue spalle.
Ma come dice il famoso detto "si chiude una porta, si spalanca un portone", ecco che dalla cattedrale posta di fronte alla casupola si spalancò il portone centrale e fuoriuscì nientepopodimenoche... l'Arcivescovo di tutte le Prussie. Egli si avvicinò al Waccher con aria di sfida ed occhi iniettati di sangue. Si, soffriva di congiuntivite acuta, ma codesta è una storia che nulla c'entra con codest'altra.
"Tu! Tu sei un reietto! Tu sei ignudo! Tu sei un miserrimo individuo abietto e ricco di malaffare!" gli urlò contro.
"Ma io... ecco in realtà...si è vero, ma..." cercò di proferir parole compiute il Waccher, ma senza esito.
E così com'era apparso, l'arcivescovo di tutte le Prussie sparì.
Si sa che un tempo gli alti prelati erano alquanto burberi e fuggitivi e anche questo, quindi, non era da meno.
Il Waccher però fece tesoro di quelle dure parole. Era ignudo, senza l'allegra sottoveste. Decise così di sottrarre le vesti ad un mendicante poco distante, tramortendolo inoltre con una sassata, poiché gli sembrava brutto derubare un pover'uomo sveglio.
Ora era rivestito. Ma rimaneva sempre senza una meta. E senza alcuna dignità.
Vagò per la città durante tutto il dì. Incontrò tante genti, ma nessuno con un lavoro per lui.
Si sentì frustrato. Ma al calar delle tenebre... una giovine ragazza si palesò d'innanzi. "Ma tu... tu sei quel ragazzo scurrile che mi ha abbordato tempo fa dinnanzi ad una chiesa! Ti colpii con un sonoro ceffone. Mi ricordo di te!" disse. Ma sì, certo! Era quella ragazza dai capelli color paglia e gli occhi azzurri che fece perdere il senno al giovine Waccher che perse anche i sensi dopo quel ceffone. "Ehm si, sono io giovinetta. Vogliate scusarmi per le inopportune parole proferitevi tempo orsono. Ma son cambiato, ve lo giuro. Il fatto è che dico parole senza senso alcuno, a volte sbagliando e facendomi fraintendere dalle persone. Specialmente quando son emozionato." disse Augustus.
"Dispiace anche a me per quel gesto, ci ho pensato per mesi e mesi e ho pregato il Fato per rincontrarvi e chiedere perdono. Ve ne prego, siate mio ospite, vi vedo affranto e vestito di cenci." disse la fanciulla con un bel sorriso.
Il giovine Waccher non se lo fece dire due volte e si recò nella dimora della giovinetta. Beh, più che dimora... era una stalla con sopra una piccola topaia.
Ella era un'allevatrice di bestie. Mucche, capre, pecore, cavalli, buoi, galli da combattimento, topi da corsa... insomma, allevava un po' di tutto.
La giovine si rivelò essere un'amabile compagnia per il Waccher. E dopo una frugale cena a base di barbabietola e cipolla Augustus ebbe il coraggio di chiederle il nome.
"Mi chiamo Lucilla." disse la giovinetta. Augustus scoprì inoltre che Lucilla era un'allevatrice da pochi anni. Dopo la morte dei suoi genitori si ritrovò da sola a dover affrontare il temibile mondo della pastorizia e dell'allevamento senza aver ricevuto un'adeguata istruzione. E infatti, il Waccher, recatosi nella stalla per allestir un giaciglio per la notte (la giovine Lucilla era molto timida e non acconsentì a farlo rimaner nella topaia) si rese conto del gran macello in quell'ambiente. Mucche poste nell'aia. Galline poste nei recinti. Capre messe a testa in giù e via discorrendo.
Si mise in un cantuccino, accanto ad un pagliaio pieno di aghi. "Sarà per paura di non trovar più un singolo ago? Così ne ha messi molti? Mah" pensò il Waccher. E si adagiò.
Iniziò a parlar tra se e se. "chissà se potrò instaurare un rapporto con codesta fanciulla senza mandare tutto all'aria come mio solito". E mentre parlottava. Ecco avvicinarsi un simpatico cavallo.
"Si, certo che potrai! Ella non faceva che parlar di te giovanotto".
Il Waccher si spaventò e si rizzò in piedi. Un cavallo parlante! Ohibò!!! Che stranezza!
Beh, in realtà non era così strano poiché il Kaiser in quegli anni si dilettava nel fare esperimenti genetici e diffondere nell'aere strane sostanze.
"Ma tu parli!!!" disse con stupore il Waccher.
"Certo e tu puzzi stolto umano! Dimmi qualcosa che non so! Tzè" disse con insolenza l'equino.
"Beh, in effetti... ma sai, si dice sempre così quando si è sorpresi. E poi beh, puzzo per colpa di questi cenci, ma son solito lavarmi! Comunque... come ti chiami o bestia senziente?"
"Mi chiamo Donato" disse il cavallo. " E ora ti convien dormire, perché domani devi chiedere a Lucilla di poter rimanere qui!".
"Ah" "e c'è bisogno di dormire eh?" chiese dubbioso il Waccher.
"Si stolto! Fai come ti dico".
E il Waccher, su consiglio del cavallo, si addormentò.

... continua ...

Chili d'amore non fan la differenza

Ed eccoci all'appuntamento delle allegre storielle con un pizzico di critica. Qui affronto dei problemi molto in voga tra i giovani d'oggi. L'obesità e l'amore. Quindi, rizzate le antennine e fate tesoro dei miei scritti. 

Era una notte buia e tempestosa nella pacifica cittadina di Marrotozzollo.
Giulio, un ragazzo minuto e palliduccio, se ne stava rintanato in casa, essendo uno studente universitario la sua vita era quella. Casa, studio, università, casa, studio, università... La sua vita sociale era ormai andata a ballino per non parlare di quella sentimental-sessuale.
Come ogni ventenne che si rispetti, i suoi ormoni erano a palla. Si eccitava spesso e volentieri, dapprima con semplici cataloghi di biancheria intima poi, grazie ad internet, riuscì a soddisfare ogni sua voglia perversa. Siti zozzi abbondavano in rete e anche la gioia del download riempiva le solitarie serate come quella.
Un bel giorno decise che no, quell'amore virtuale non era più sufficiente a colmare le sue voglie sempre più vogliose. Allora decise di iscriversi in un sito di appuntamenti. E meraviglia delle meraviglie, scoprì che migliaia di ragazze nella sua stessa condizione erano lì, pronte a soddisfare ogni sua voglia.
Allora si fece coraggio e iniziò a scrivere ad una, poi ad un'altra... insomma, divenne la sua nuova droga.
In particolare, si innamorò perdutamente di una ragazza apparentemente bellissima. Rossa di capelli, occhi verdi e dalle foto sembrava una figa da paura.
Dopo un po' di corteggiamento telematico, decise di farsi forza e chiederle un appuntamento. Ed ella con sua grande sorpresa accettò!
I due si incontrarono pochi giorni dopo in una bettola poco lontana dalla casa del buon Giulio che per l'occasione si cosparse del suo profumo più intenso (una litrata di eau de merd) e si infighettò come se andasse a fare la prima comunione. Dopo qualche minuto di attesa, seduto al tavolo, iniziò a sentir vibrare il terreno. Ed eccola apparire all'ingresso. Ma... non era la ragazza che si aspettava! Sì ok, aveva i capelli rossi, gli occhi verdi, ma... questa era un'orrida budellona ambulante, grassissima, enorme! Le foto erano di qualche tonnellata fa. Inoltre, era vestita (come spesso accade anche nella realtà) da abiti molto stretti dai quali fuoriusciva tutto. Insomma, non era un bellissimo spettacolo.
Giulio, che ormai era lì, tutto voglioso, decise che ok, andava bene lo stesso...ormai... e quindi dopo due convenevoli di presentazione si recarono a casa del giovane per fare del sesso spintarello.
Giulio impiegò un quarto d'ora buono per spogliarla, i vestiti di lei occuparono quasi tutta la stanza. Una volta nudi, i due si afflosciarono sul lettino di lui, che si ruppe appena lei mise il ginocchio su di esso.
Insomma, la cosa iniziava a partire col piede sbagliato.
Giulio, tremante, iniziò a baciarla. La bocca di lei inglobò quasi l'intera faccia di lui.
Lui iniziò a palparla, ma probabilmente non riuscì mai ad afferrare i seni poiché tutto in quel corpo poteva essere un seno, talmente i rotoli di grasso uscivano da quel corpicione.
Ad un certo punto, l'orrore.
Lei, presa dalla foga del momento, volle mettersi sopra.
Giulio iniziò a sentire lo spirito abbandonare il corpo.
La pressa umana lo stava schiacciando pian piano e decise di liberarsene usando un trucco sagace. Iniziò a scalciare forsennatamente quell'ammasso di budino pesantissimo e con un filo di voce disse "uh, guarda ho fatto una torta per te prima!". Come per magia, ella si tirò su di scatto con un verso che nulla aveva di umano.
Giulio scivolò da sotto il suo corpo e dopo aver constatato di aver un paio di costole rotte, scappò via.
Venne ritrovato un paio di giorni dopo, in stato di shock nel retro di una palestra, unico posto dove sapeva di non poter essere raggiunto dalla ragazza.
Non parlò mai di quello che successe realmente. Del perché si trovava lì. Tutto quello che gli inquirenti trovarono a casa sua furono un letto rotto e un frigorifero svuotato.


N.d.A: L'obesità è comunque un problema. Molti ne soffrono. Molti periscono. Molti periscono anche a causa degli obesi, che possono schiacciar i più deboli. Insomma, è un gran casino. Ma un rimedio ci sarebbe: mangiar di meno e più sano.

domenica 12 febbraio 2012

La porca puttana

ATTENZIONE: La seguente fiaba è altamente sconsigliata ad un pubblico di età inferiore ai 5 anni. 
Per gli altri, beh.. leggere questa o guardare un qualsiasi programma Mediaset è la stessa roba. 

C'era una volta, nel lontano paese di Eustachio, una maiala che esercitava il mestiere più antico del mondo. "La raccoglitrice di mele?" Chiederanno i miei piccoli e ingenui lettori.
No, la raccoglitrice di peni.
Era infatti una prostituta.
La vita nella fattoria era indiscutibilmente dura e per comprare i cibi per i piccoli porcelli necessitavano sempre più soldi. Quindi decise di esercitare del sesso in cambio di denaro. Alla fine, si sa che è un lavoro come un altro. Piacevole e costruttivo.
I giorni passavano e la maiala accumulò un discreto gruzzoletto. Ormai i figli si saziavano facilmente e quindi decise di continuare a professare per togliersi degli sfizi.
Dalle tv al plasma alla macchina nuova, dai gioielli alle borse.. insomma, l'attività iniziata con un nobile scopo, divenne una malattia irrefrenabile di shopping compulsivo.
La voce della presenza della maiala prostituta fece ben presto il giro delle fattorie e arrivarono sempre più porci, bramosi di ottenere un facile orgasmo ad un giusto prezzo.
Ma un giorno il fattore, vedendo il caos causato dalla lunga fila di porcelli in attesa davanti alla maiala meretrice decise di porvi rimedio e la isolò in un recintino apposito, temendo stoltamente (in fondo era un fattore non certo un premio nobel) fosse colpa della luna piena.
Il giorno successivo, un ex cliente della disinibita suina, che era un facoltoso maiale dell'alta borghesia porcifera, innamoratosi perdutamente della baldracca, decise di farla fuggire da quella prigione fatta di paletti di legno e fil di ferro e la portò, insieme  ai suoi porcellini, alla sua dimora posta in una fattoria poco distante.
Tra i due scoppiò ben presto l'amore, grazie soprattutto agli agi in cui sprofondò la maiala che da ex prostituta divenne semplice mantenuta. Ora aveva davvero tutto quello che poteva desiderare e come in ogni buona fiaba che si rispetti... vissero tutti felici e contenti. Beh, un po' meno contenti le centinaia di suini che cercarono inutilmente la maiala in lungo e in largo bramosi di far del sesso. Ma niente. Ella era sparita alla loro vista, così decisero di soddisfare le loro voglie altrove. Da allora, oche e galline si guardarono sempre le spalle ogni qual volta si recavano all'aia. E persino la storpia capretta Gaja iniziò ad aver qualche sentore di pericolo...

Ogni riferimento a film romantici come per esempio "Pretty Woman" per dirne uno a caso, è puramente cauale. D'altra parte adesso non è che se uno racconta la storia di una mignotta che si redime per divenire mantenuta dev'essere per forza plagio del suddetto film. Tzè.

sabato 11 febbraio 2012

La vera storia di San Valentino

Lo sapete perché è San Valentino il patrono degli innamorati? E non, per esempio, Santa Tecla che vien sempre nominata (a mio avviso ingiustamente) troppo spesso, ma nessuno sa chi sia?
Ebbene, le Scritture narrano di questo simpatico omino canuto e barbuto che si dilettava nel mettere cioccolatini sulla sedia di chiunque si accingeva nell'atto della seduta.
"Ogni volta la solita storia Valentino!" dicevano le vittime delle sue burle. "Hai quasi 60 anni per dio! Smettila di fare il cretino!".
Ma a lui non importava poi così tanto esser sgridato. A lui importava ridere e fare burle.
Però erano sempre le stesse.
Durante i banchetti la gente arrivava e splat! Si sedeva sul cioccolatino di Valentino.
Poi si sa, che nell'antica Roma (mi ero dimenticato di dirlo? Vabè.. siamo nell'antica Roma) la gente era abbastanza suscettibile. Così un bel giorno, stanchi di queste burle, decisero di decapitarlo in malomodo.
Poi la Chiesa decise così su due piedi di farlo Santo perché martire. Beh insomma, a quei tempi i martiri scarseggiavano quindi dovettero usare gli scartini.
Ma il mistero del perché sia patrono degli innamorati permane.
Beh cosa pretendete? Almeno sapete il perché ci si scambia i cioccolatini!


Consiglio dell'autore: per assaporare di più questa inutile festa idiota, stringetevi mano nella mano oh dolci coppiette. E leggete insieme questa storia, crogiuolandovi nel calore dell'amore. Poi scopate ok, ma prima... leggete.

sabato 4 febbraio 2012

Cenerentola

Evvai con una terza fiaba riadattata in chiave moderna, per i bimbi degli anni duemila. Che, insomma, non si bevono più le boiate buoniste della Disney, ma bramano altresì sputi di realtà in questo piatto maleodorante che si chiama vita.
Però devo allertare i genitori che questa fiaba è veramente brutta. Ma di quelle pesanti e anche un po' drammatiche perché parla di puttane e droga. Voglio dire, ok che ormai basta accendere la tv e trovi già tutto lì, però... Ecco insomma. Leggetela con il giusto cipiglio. Sapete che scrivo anche termini a caso solo perché mi sembrano fighi? Ah, ecco. 

C'era una volta, nel ridente paesino di Milano Due, una famiglia di abbienti. Di quelli ricchi ricchi, che tipo possono comprar una Ferrari tirar sotto un bambino povero e davanti ai genitori piangenti bruciar tutto per dimostrar che possono ricomprar la macchina perché hanno i soldi, ma il loro bambino (eheh) no.
Ecco, insomma, quei ricchi cattivi che poi alla fine sono poveri arricchiti. Insomma, i peggiori. Ed era composta come tutte le belle famiglie da madre, padre e figlioletta.
Un bel dì, diversi lutti colpirono questa famigliola allegra. Dapprima morì la madre, ma il marito voglioso e bramoso di amore si risposò con una donnona ancor più acida e austera che portò in dote due figlie avute da un precedente matrimonio: Anastasia e Genoveffa. Che con dei nomi simili, voglio dire, solo una madre snaturata poteva darne di simili. E poco tempo dopo, già che c'era morì anche il padre, lasciando la sua figlioletta sola soletta.
Questa famiglia era ora composta dalla madre arcigna, dalle due figlie viziatissime e dalla giovanissima figliastra che con tutti 'sti lutti si diede ben presto alla droga più pesante e fu così soprannominata con disprezzo Cenerentola poiché se potesse tirerebbe su anche la cenere dei mozziconi di sigaretta.
La giovane fu così depressa che oltre a drogarsi si prostituì per aver i soldi necessari per comprarsi la droga.
L'arcigna matrigna la relegò nelle segrete a far il bucato della famiglia, ma ben presto capì l'errore di dare dei preziosi abiti in mano ad una drogata e pure puttana.. e così decise di riscuotere parte dei soldi provenienti dalla svendita vaginale della figliastra per arricchirsi.
Un giorno, l'intera famiglia venne scossa dalla notizia del Gran Ballo nelle stanze della reggia del re di Milano Uno. Iniziò un gran fermento. Shopping sfrenato per acquistare le vesti più preziose, coiffeur raffinati per i capelli, manicure, pedicure... insomma... un gran bel guazzabuglio.
Cenerentola, però, non venne invitata e la famiglia decise di lasciarla lì in cantina con un vecchio laido cliente e una siringa di eroina mentre loro si diedero alla pazza gioia.
La giovane drogata, stanca e triste, iniziò a piangere perché in realtà lei non amava quella vita, ma voleva divertirsi con il re a ballare e danzare. Lentamente chiuse gli occhi e iniziò un trip allucinante. Come per magia, gli scarafaggi e i topi nella cantina si trasformarono in cavalli, la siringa in carrozza e il vecchio laido cliente divenne il nocchiere. Riuscì ad entrare nel palazzo, ammantata con un abito regale e delle scarpette di cristallo. Poi vabè, ballò, si innamorò del principe Filiberto, poi scappò perché a mezzanotte doveva rientrare se no tornava ad essere una squallida drogata, ma perse una scarpetta e fruc! il principe non sapendo chi fosse fa ordinare di rapire ogni giovane della nazione per trovare quella giusta alla quale apparteneva la scarpa. Insomma, un casino della madonna ma alla fine i due si ritrovarono, si sposarono e vissero felici e contenti.
Questo fu l'ultimo sogno della povera Cenerentola che quella stessa notte, mentre veniva cullata da questo sogno dettato da un trip pesante di metanfetamine, coca ed eroina, morì di overdose.
Insomma, una storia simile solo una drogata poteva immaginersela no?

Morale della fiaba: non drogatevi o sognerete di sposarvi.