BUM. Un forte boato.
Erik si veglia di soprassalto. Guarda immediatamente fuori dalla piccola finestrella aperta, che tutte le notti funge da piccolo schermo per osservare le stelle e perdersi nei pochi ricordi che gli rimangono della sua famiglia. Della sua infanzia.
Un’esplosione, laggiù … al confine sud del villaggio.
Poche ore prima non credeva che i ribelli avessero le palle per avvicinarsi così tanto durante la notte, ma ora è successo.
Si alza scattando come una molla, è già vestito, tutti sono già vestiti per eventualità come questa. Afferra l’AK47 che è ai piedi del letto e si dirige verso la piazza antistante la baracca, dove dorme tutte le notti da un anno a questa parte insieme ad altri nove bambini soldato come lui.
Una volta al centro della piccola piazza in terra battuta osserva come dalle altre tre baracche del villaggio altrettanti bambini imbraccianti fucili automatici si dirigono verso il posto dove ora si trovano lui e i suoi fratelli di armi.
Dalla piccola casetta a nordovest escono tre uomini, sono il Generale Ahbed e le sue due guardie del corpo. Lo sguardo terribile dietro gli occhiali da sole, che sembra avere incollati anche di notte sul suo marmoreo viso, emanano una collera senza eguali. Erik non ricorda di averlo mai visto così furente. Come un mastino al quale si tira un calcio in pieno stomaco.
“Cosa cazzo sta succedendo?” urla puntando un dito rabbioso verso il gruppo di piccoli soldati.
“Un’esplosione alla porta sud del villaggio” risponde con autorità uno dei ragazzi al quale il generale ha affidato la ricognizione notturna.
Erik si trova da poco in quella merda, ma ha trovato il tempo e il modo per fraternizzare con tutti gli altri bambini che, come lui, sono stati strappati dalle loro terre e dalle loro famiglie per unirsi all’esercito regolare.
Il Generale abbassa la mano, apre con estrema lentezza la fondina che porta attaccata alla coscia, estrae la pistola 9 mm che porta sempre con sé e la punta alla fronte del bambino.
“Primo. Chiamami Signor Generale alla fine di ogni risposta.”
Clic, abbassa il cane dell’arma.
“Secondo. Hai fallito il tuo compito. Dovevi sorvegliare e dovevi vedere, cazzo, che stava succedendo qualcosa.”
Schiaccia il grilletto.
Un colpo secco.
La testa del piccolo soldato che vola in mille pezzi.
Erik si ritrova della materia cerebrale sulla spalla destra, ma ha troppa paura per fare qualsiasi gesto e decide di tenerla lì dov’è.
Il piccolo soldato si chiamava Jules. Era lì da tre anni. Due in più di Erik. Giocavano sempre insieme durante le pause dalla routine quotidiana con una palla fatta di stracci. Era bravo Jules. Raccontava belle storie. Erik ricorda in quegli stessi istanti, mentre il cervello del suo amico si trova sulla sua spalla, di come Jules facesse ridere tutti quanti la sera, prima di addormentarsi.
Addio Jules.
“Che questo sia di monito a tutti quanti voi. Chiaro? Un’altra cazzata come questa e ne faccio fuori 10 di scarafaggi come voi. Avete capito brutti stronzi?”
“Sissignore!” è il coro che esce spontaneo, senza pensarci due volte, dalle gole arse del manipolo di bambini impauriti.
“E ora seguite Karim, stategli attaccato al culo e vate quello che vi ordina” urla il generale rimettendo la pistola ancora fumante nella fondina.
Erik e gli altri si dirigono frettolosamente verso Karim, una delle guardie del corpo del Generale. E’ un uomo alto e robusto con una lunga e profonda cicatrice sul volto. Non ci mette troppo a sbraitare ordini ai piccoli soldati.
“Tre di voi si mettano al riparo dietro a quella buca, due di voi mi stiano attaccati al culo e il resto di voi prenda posizione lungo il perimetro. Fate fuoco solo a bersaglio sicuro. Non sprecate munizioni.”
Il manipolo di bambini corre a mettersi nelle posizioni solite degli addestramenti, tolgono la sicura quasi all’unisono e rimangono fermi, immobili. Aspettando che il nemico da sempre temuto si faccia vivo.
Erik suda, stringe talmente forte il pesante fucile che le nocche iniziano a dolere. Il cuore accelera, la paura inizia a salire.
Solo pochi mesi prima si ritrovava ad aiutare la nonna nelle faccende di casa. Era la sua unica famiglia. Lui, figlio di operai della vicina raffineria di petrolio. Rimasto orfano troppo presto per colpa della guerriglia che da anni infiamma il cuore della Somalia.
Ad un tratto, mentre il piccolo Erik è ancora assorto nei nostalgici pensieri della sua infanzia, il nemico appare. Ombre scure nella notte. Una raffica di mitra. Poi un’altra. Un’altra ancora. E poi iniziano a piovere granate.
I colpi sono spaventosamente forti. Ma fortunatamente sono cadute distanti dalla loro postazioni. Si alzano nuvole di terra e polvere. I nemici iniziano ad apparire dietro gli alberi della foresta che circondano il villaggio.
Altri spari. Questa volta più vicini.
Erik sente una puntura nello stomaco.
Improvvisa. Non troppo dolorosa.
Si porta le mani dove sente dolore e sollevandole i suoi occhi si fanno enormi. Sangue.
Tanto sangue.
Ora il dolore si fa più forte. Lancia un urlo.
Freddo.
........stupenda........ e triste..... perché hai raccontato qualcosa che succede quotidianamente in Africa..... bravissimo.........
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